Nelle parole del decano don Carlo Manfredi, è un territorio alla periferia della Diocesi quello in cui farà tappa la visita pastorale del cardinale Scola: appuntamento alle 21 presso l’Auditorium Comunale di Gavirate

di Cristina CONTI

Carlo Manfredi

Giovedì 10 marzo la visita pastorale del cardinale Angelo Scola farà tappa a Gavirate. Alle 21 presso l’Auditorium Comunale (via Enrico Fermi) ci sarà l’incontro con i fedeli del decanato di Besozzo. «Siamo alla periferia della diocesi – spiega il decano don Carlo Manfredi, responsabile della Comunità pastorale Maria Madre della Chiesa di Laveno Mombello -. È bello vedere che nel giro di un anno l’Arcivescovo è già stato qui due volte: il 15 marzo 2015 ha celebrato la Messa e poi ha pranzato con i sacerdoti, ora la visita pastorale. Siamo in tutto 27 parrocchie, divise in sei Comunità pastorali e una unità pastorale. La Comunità pastorale oggi è una scelta irreversibile, ma bisogna salvare la capillarità della parrocchie e la dimensione missionaria della Chiesa nel campo che è il mondo. Nella realtà che stiamo vivendo riveste poi un ruolo particolare la dimensione culturale e sociale della fede, dove il laicato è più impegnato e protagonista».

Come vi siete organizzati per l’incontro col Cardinale?
A livello decanale noi preti ci siamo riuniti a cadenza settimanale e poi abbiamo convocato il Consiglio pastorale decanale per dare ai laici il compito di preparare questo momento e per stilare una serie di domande da presentare nel corso della serata. Ci aspettiamo che l’Arcivescovo ci dia indicazioni forti per continuare il cammino nella nostra realtà di frontiera e che la sua parola possa rafforzare il laicato perché diventi più responsabile. È importante che i laici siano corresponsabili nella vita comunitaria.

E per quanto riguarda in particolare i giovani?
Ci sono una pastorale e una consulta che raggruppa le diverse parrocchie. Oggi è importante insegnare loro ad amare e ad accogliere.

Gli stranieri sono molto presenti?
Questa zona viene spesso citata per la sua “chiusura”. Ma in realtà oggi c’è accoglienza anche verso i profughi: cinque di loro infatti sono ospitati in una casa parrocchiale, destinata a questi usi sociali d’intesa con il Comune, e ci sono stati diversi incontri con la Caritas per sensibilizzare tutta la comunità su questo problema. Gli immigrati non arrivano qui in massa, contrariamente a quello che accade in altre zone. Alcuni stranieri sono arrivati nel nostro territorio in tempi più redditizi (negli anni Ottanta e Novanta) e ormai hanno anche la cittadinanza: sono però una fascia debole; per primi hanno perso il lavoro, la casa è a rischio e per loro si sta attivando la Caritas.

La crisi economica si è sentita molto?
Da queste parti si è sentita. Anche nella diminuzione di residenti. Molti, infatti, per motivi di lavoro si sono trasferiti verso Milano oppure in Svizzera e qui sono rimaste parecchie case sfitte. C’è comunque una certa ricchezza che chi è rimasto è riuscito a mantenere, ma si è attenti nelle spese e forse è diminuita un po’ anche la generosità.

 

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