Il cappellano della Polizia di Stato delle Questure di Milano e Monza-Brianza riflette sulla Lettera dell’Arcivescovo alle Forze dell’ordine: «Sono persone attente al loro servizio e al loro dovere, hanno cuore e passione per quello che fanno»

di Annamaria Braccini

Don Gianluca Bernardini
Don Gianluca Bernardini

«Tra la gente, per la gente»: già il titolo della Lettera che l’Arcivescovo ha voluto dedicare agli uomini e alle donne delle Forze armate, Forze dell’ordine e Forze di polizia, dice la riconoscenza per chi quotidianamente assicura il rispetto delle leggi, della giustizia e della convivenza civile. In una parola, del bene comune. «Sono tre i punti toccati in questa lettera – sottolinea don Gianluca Bernardini, cappellano della Polizia di Stato delle Questure di Milano e Monza-Brianza -. Anzitutto, c’è il grazie agli uomini e alle donne perché sono presenti e per quello hanno fatto in questo tempo di pandemia e di lockdown. Un’altra parola importante è accoglienza, perché la maggior parte degli uomini e delle donne appartenenti a queste realtà provengono da altre regioni, città e paesi. E dunque l’Arcivescovo dice loro di sentirsi parte di questo nostro territorio, di questa nostra Chiesa, rappresentata dalla presenza dei cappellani, ma non solo, anche dalle parrocchie che si affacciano “alle vostre abitazioni, caserme e ai vostri luoghi di lavoro”. La terza parola – molto bella -, è quella che riguarda l’attenzione pastorale di un vescovo che è padre e che si sente accompagnato, nelle sue visite nel territorio, dalle Forze armate, Forze dell’ordine e Forze di polizia».

Fra i rischi che l’Arcivescovo mette in luce c’è quello di non poter stare vicini alle proprie famiglie…
Spesso i tutori dell’ordine sono chiamati ad allontanarsi dai luoghi di provenienza e di origine e quindi le relazioni familiari, anche se vengono mantenute con un contatto continuo e costante, devono in molti casi fare i conti con il fattore della distanza. L’Arcivescovo, perciò, chiede di avere quest’attenzione particolare perché le relazioni affettive sono quelle che accompagnano la persona nel suo aspetto più umano.

L’Arcivescovo chiede anche di coltivare la solidarietà, la cura di sé e degli altri, perché la fatica o il pessimismo non prevalgano nell’adempiere un dovere che mette a contatto spesso con situazioni e persone volte al male. Un cappellano della Polizia di Stato come vede tutto questo?
C’è il rischio che, a volte, si affronti il lavoro in una maniera sicuramente professionale, ma dimenticandosi forse un poco dell’approccio umano. Però constato molta solidarietà nei confronti dei colleghi, degli amici, dei compagni di corso e di viaggio: nella Polizia di Stato c’è davvero uno spirito di corpo. Molte volte ho potuto notare una vera famiglia che accompagna, sia quando le cose vanno bene, sia nei momenti di difficoltà, di malattia, di lutto. Devo dire, inoltre, che ho sempre notato che funzionari, dirigenti, poliziotti hanno nei confronti del loro servizio e del loro dovere un’attenzione umana che, qualche volta, mi ha meravigliato. Non sono semplicemente persone che lavorano, ma che hanno cuore e passione per quello che fanno. Garantire la legalità non è un lavoro qualsiasi, è una vocazione.

 

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