La sua elevazione agli altari - ricordata nella celebrazione che l’Arcivescovo presiede il 24 aprile a Magenta - ha rappresentato un punto di svolta per la Chiesa: «Da lì si è capito come la vocazione alla santità non sia limitata ai consacrati, ma si estenda alla dimensione matrimoniale», rileva don Marco Gianola, collaboratore del Servizio diocesano per le Cause dei Santi
di Annamaria
BRACCINI
Era una splendida giornata di sole, quel 16 maggio 2004, quando in piazza San Pietro Giovanni Paolo II – a sua volta oggi santo – canonizzava Gianna Beretta Molla. Per ricordare questo XV anniversario, nella data esatta del XXV della beatificazione, mercoledì 24 aprile, alle 21, l’Arcivescovo presiede una celebrazione eucaristica nella prepositurale di San Martino a Magenta, dove la Santa fu battezzata.
A lei – medico e madre, morta a nemmeno 40 anni una settimana dopo aver dato alla luce la figlia Giannina (per la gravidanza aveva rifiutato le terapie che avrebbero potuto curare lei, ma danneggiare il feto) – è intitolato il Santuario della Famiglia di Mesero. Santa Gianna testimonia non solo il sacrificio coraggioso di una mamma, ma una santità a tutto tondo, come conferma don Marco Gianola, collaboratore del Servizio diocesano per le Cause dei Santi e cappellano del Policlinico – Clinica Mangiagalli.
Con la sua canonizzazione, l’ultima di San Giovanni Paolo II, si è aperta una nuova strada per l’indicazione della santità quotidiana, laica, d’impronta e d’ispirazione familiare…
È stata una svolta molto importante, perché anche nella Chiesa si è iniziato a capire come la vocazione alla santità non sia strettamente relegata ai sacerdoti, ai religiosi e a quanti fanno voto di speciale consacrazione, ma si estenda anche alla dimensione matrimoniale, cioè agli sposi. Proprio il matrimonio, come sacramento, è la strada che può far arrivare un marito e una moglie a concepire il loro cammino insieme in un’ottica di santità. Pensiamo ai coniugi Martin, i genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino, la prima coppia di sposi canonizzata dalla Chiesa: nell’amore vicendevole hanno avuto come fondamento del loro amore proprio la Pasqua, l’amore di Cristo.
In questi anni altre figure di madri stanno compiendo il loro cammino verso gli altari…
Esatto: diverse figure di madri, sull’esempio di Gianna Beretta Molla, ma anche di padri. È un segnale molto positivo e bello per far comprendere come è, anzitutto, nel popolo di Dio che si radicano la santità e l’amore verso il prossimo che parte dall’esperienza familiare. Non a caso, la famiglia è detta la prima “Chiesa domestica”, essendo il luogo dove fin da piccolissimi si viene educati alla fede. Ci sono stati cristiani lungimiranti – penso al post Sessantotto – che hanno segnato con il loro esempio tempi di crisi, anche morale, della società e della cristianità. Laici che hanno saputo tenere viva la fede, attraverso la testimonianza e l’esempio della vita.
Alla Mangiagalli nascono moltissimi bambini, ma ci sono tante mamme che vivono situazioni di grande difficoltà. Nella sua esperienza di cappellano vede incarnata questa santità che è al cuore del quotidiano?
In ospedale vivo quell’esperienza che nell’Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate papa Francesco definisce la «santità della porta accanto», cioè di uomini e di donne – in Mangiagalli, soprattutto le madri -, che sperimentano momenti forti di croce e di sofferenza. Donne che non verranno mai beatificate o canonizzate dalla Chiesa, ma che vivono, comunque, un cammino di santità, abbandonandosi a Dio.