Il segretario della Cei ricorda: «Non è un finanziamento alla Chiesa cattolica, ma una modalità libera con cui i cittadini decidono chi debba soddisfare i fini indicati dalla legge». Dal 2 maggio la nuova campagna di comunicazione
di Riccardo
Benotti
Agensir
A pochi giorni dall’avvio della stagione della dichiarazione dei redditi, abbiamo incontrato il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Baturi.
Eccellenza, perché l’ordinamento italiano prevede che una quota minima delle tasse possa essere destinata alla Chiesa italiana?
In tutti gli ordinamenti occidentali, ed europei in particolare, esistono forme di finanziamento indirizzate non soltanto alla Chiesa cattolica ma ad altre Confessioni religiose. In Italia non si tratta di un semplice finanziamento, ma della destinazione di una parte delle tasse sul reddito per finalità volte a soddisfare interessi primari della persona, che sono costituzionalmente garantiti e prefissati dalla legge. Il raggiungimento di tali interessi è affidato anche alla Chiesa. Non è una forma di finanziamento alla Chiesa cattolica, ma una modalità libera attraverso la quale i cittadini decidono chi debba soddisfare i fini indicati dalla legge. Parlare di altro è una distorsione gravissima: la Chiesa non può destinare le somme a proprio piacimento, ma ci sono fini determinati.
Quali?
Culto e pastorale, sostentamento del clero e interventi caritativi per la comunità nazionale e per il Terzo mondo. Non possiamo utilizzare quei soldi per altri scopi e, quindi, non è un finanziamento indeterminato e vago alla Chiesa, ma è un modo di affidare alle Confessioni religiose la possibilità di raggiungere certi fini secondo le scelte libere dei contribuenti.
Come nasce l’8×1000?
Nasce a seguito della revisione degli accordi concordatari nel 1984, con la legge 222/1985. L’intenzione era quella di sostituire due fonti di sostentamento a favore della Chiesa cattolica che erano presenti nel bilancio dello Stato, indirizzate all’edilizia di culto e alla congrua per i parroci. Si trattava di un sistema insoddisfacente, che presentava gravi limiti di giustizia ed equità. Si è proceduto, quindi, a una revisione globale affidandosi alla scelta dei contribuenti italiani. Che in quel momento, bisogna ricordarlo, neanche si sapeva in che misura avrebbero deciso di partecipare. È stata una scelta di libertà per lo Stato e non di convenienza economica. Una scelta di democrazia, di una laicità che non esclude il fatto religioso ma lo sostiene.
Qual è la situazione in altri Paesi?
Anche altri ordinamenti prevedono forme di sostentamento ma quella italiana, è opportuno precisarlo, è la più controllata. Nelle aree germaniche, per esempio, lo Stato segue semplicemente le disposizioni ecclesiastiche sulle tasse. Invece in Italia non c’è alcun aggravio della posizione fiscale dei cittadini per il raggiungimento di scopi che sono a vantaggio dell’intera collettività.
Talvolta l’8×1000 viene presentato come una concessione benevola dello Stato alla Chiesa italiana…
Lo Stato ha una vocazione positiva di solidarietà e di sussidiarietà. Per garantire ciò, affida alla Chiesa le risorse necessarie alla soddisfazione di tali interessi. Una delle novità introdotte dal sistema dell’8xmille è quella di avere consentito un vantaggio per tutti. Anche le Confessioni religiose possono compiere attività di carità e di prossimità a favore della collettività e dei Paesi del terzo mondo. La Chiesa italiana destina circa un terzo delle risorse per andare incontro ai bisogni delle persone indigenti, dei migranti, di chi cerca una casa, di chi ha bisogno di ambulatori per curarsi, dei più poveri. Parliamo di oltre 200 milioni di euro all’anno.
C’è anche una spinta per la promozione di iniziative del terzo settore?
Certamente. I dati confermano che la spinta dell’8×1000 per la Chiesa e per le altre Confessioni religiose è stato un volano importante per incrementare le attività di welfare comunitario e solidale. L’espansione di questo settore ha garantito una possibilità di contrasto al degrado sociale. E inoltre ha sollecitato una maggiore creatività e responsabilità dei cittadini: è uno strumento di partecipazione importantissimo. L’incremento delle opere sociali e sanitarie della Chiesa è avvenuto in concomitanza con l’istituzione dell’8×1000. E questo è un guadagno non soltanto per i beneficiari, ma anche per chi vive la propria responsabilità sociale in modo associato, creando opere, fornendo servizi, partecipando alla costruzione del bene comune.
Il bene non è solo di chi lo riceve, ma anche di chi lo fa?
Grazie all’8×1000 consentiamo a una fascia importante di operatori di aiutare chi è in difficoltà e di attivare nuovi servizi. È un bene anche per chi lo compie. E non dimentichiamo che il welfare in Italia è determinato anche da questa rete comunitaria e solidale. L’8×1000 è stato il primo strumento di democrazia fiscale che consente al cittadino di decidere la destinazione di parte del proprio reddito destinata all’erario.
Perché è importante firmare?
Bisogna riscoprire i valori fondamentali dell’8xmille: il bene comune, la solidarietà, la partecipazione dei credenti, il sostegno economico delle Chiese nella loro missione. Il tema della partecipazione all’8xmille coincide con la diffusione dei suoi valori, della comprensione dei suoi altissimi valori, che ha fatto sì che anche alcuni ordinamenti dell’Est Europa, all’indomani della caduta del muro di Berlino, si siano ispirati all’Italia. Non esiste un’anomalia italiana, anzi il nostro sistema è considerato un modello da altri ordinamenti. Ma serve informazione, è necessario comprendere il valore che rappresenta per tutti – credenti e non – in termini di solidarietà e democrazia.
Molti progetti dell’8×1000 sono portati avanti anche all’estero…
La legge affida alla Conferenza episcopale italiana la possibilità di destinare parte della carità anche per interventi a favore dei Paesi indigenti. Negli ultimi anni abbiamo sempre incrementato questa quota, oggi pari a 80 milioni di euro all’anno. In altre parole: con queste risorse finanziamo oltre 700 progetti che vanno a favore dei Paesi con più basso Pil, in accordo alla lista redatta dall’Ocse.
Lei è stato in visita recentemente in Siria e Libano. Che realtà ha trovato?
Ho visto cose straordinarie: progetti sanitari, educativi e di contrasto alla povertà. Ho visto prendersi cura delle persone in un contesto di guerra, aggravato dal terremoto e dalla crisi finanziaria. L’8×1000 della Chiesa cattolica ha attivato energie locali in termini di volontariato e di corresponsabilità. Per dirla in altre parole: ha salvato vite umane. Adesso i poveri possono farsi curare, in una situazione in cui altrimenti sarebbe stato impossibile. Ad Aleppo le mense forniscono ai poveri 1.500 pasti all’anno. L’8×1000 fa la differenza tra vivere e morire. Un lavoro ben fatto a Roma salva vite in tutto il mondo. La metà dei progetti è finanziata in Africa, in una delle terre più interessate dalle ricadute economiche della guerra in Ucraina a causa del blocco o del rallentamento del flusso dei cereali. È in atto un’enorme opera di bene spesso nascosta, anche per prevenire i flussi migratori che mettono a repentaglio la vita di tante persone.
Eppure non mancano le polemiche che ciclicamente tornano…
L’8×1000 non è a vantaggio della Chiesa cattolica. È a vantaggio, semmai, del raggiungimento dei diritti costituzionalmente garantiti e interessa tutti. Dispiace per le polemiche che vengono condotte sulla pelle della povera gente, senza guardare gli effetti delle risorse messe a disposizione. Si tende a suscitare emozioni, perdendo di vista la realtà. Invito tutti a passare con noi mezza giornata per verificare il contributo dell’8xmille a favore di tanta gente che altrimenti non avrebbe nessun aiuto. Venite a vedere.
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