In un periodo che ci fa drammaticamente avvertire il senso del limite, il Natale può portarci in dono fiducia e speranza, da vivere, testimoniare e offrire agli altri
di Azione Cattolica Ambrosiana e Caritas Ambrosiana
Il Vangelo ci presenta Gesù nato povero tra i poveri, in una famiglia lontana da casa e dagli amici, apparentemente isolata. Potrebbero prevalere sconforto e solitudine, ma la Natività racconta altro. Il Salvatore entra, bambino, nella storia dell’umanità, trova la solidarietà dei pastori, della gente comune; porta con sé una nuova e mite speranza dentro una condizione e in un tempo non meno problematici di oggi.
Ed ecco, in questo 2020 per tanti aspetti tragico, torna il Natale. Con una speranza rinnovata e un orizzonte di certezza.
Eppure non è possibile dimenticare che in questi mesi abbiamo drammaticamente avvertito il senso del limite. Abbiamo pianto la scomparsa di tante persone. Abbiamo attraversato un tempo di incertezza, che stiamo vivendo tutt’ora.
Attorno a noi vediamo molteplici segni di disagio e povertà. Tante persone e famiglie nella Diocesi di Milano sono state toccate da disoccupazione o contrazione del reddito; i ragazzi hanno vissuto, e vivono, le lezioni scolastiche senza l’opportunità di stare fisicamente insieme. Tante persone già fragili, in modo intollerabile, non hanno potuto curarsi, abitare una casa dignitosa, persino nutrirsi in modo sufficiente. Molti non hanno trovato un’adeguata tutela e accesso ai diritti per una piena dignità e cittadinanza.
Le stesse “abitudini” ecclesiali sono state segnate dalla pandemia, la quale ha messo in discussione la possibilità di celebrare l’Eucaristia in presenza: ci siamo chiesti come tutto ciò cambierà le nostre comunità, già sfidate da un forte processo di secolarizzazione e da una proposta spirituale e pastorale che talvolta sembra non rispondere alle domande e alle inquietudini dei giovani, delle donne e degli uomini d’oggi.
Ci sono tornate alla mente, in questi mesi, tante parole che abbiamo ascoltato con grande superficialità, forse senza capirle fino in fondo e senza metterle in pratica, e che si sono manifestate in tutta la loro crudezza: la necessità di radicarci nell’essenziale, l’opportunità di fare meno cose e farle meglio, il richiamo all’essere seme e lievito silenziosi, non appariscenti.
Ci pesa l’assenza di una prospettiva chiara, di una meta precisa, di un orizzonte temporale a cui tendere per rendere sopportabile la fatica della rinuncia e l’impegno per il rispetto delle regole. Del resto ci eravamo illusi che il Natale potesse essere “normale”, ma dobbiamo fare i conti con nuove e giuste precauzioni e restrizioni.
La speranza si nutre di promesse e di una meta da raggiungere: quando quest’ultima si allontana o svanisce rischiamo di piombare nello sconforto o nella rabbia, che si sfoga spesso individuando un nemico contro cui scagliarsi.
Sono sentimenti che riguardano tutti e che interpellano con forza anche la fede e la vita della comunità cristiana.
È proprio questo, allora, il tempo di riscoprire alcuni degli elementi fondamentali della vocazione cristiana e dell’appartenenza comunitaria.
È tempo di affidarsi al Signore, in nome della fiducia in una grazia che non risolve magicamente i problemi, ma dà la forza per leggere i segni dell’amore di Dio nella vita fragile delle persone.
È tempo di vivere una responsabilità che non si manifesta solo nella forza della nostra volontà, ma nella capacità di rispondere alla chiamata ad essere accanto a chi incontriamo nella vita di tutti i giorni.
È tempo di servizio silenzioso che si sostanzia nel rispetto delle regole e nella possibilità di rendere meno pesante la vita degli altri. Quanti esempi commoventi abbiamo visto in questi mesi…
È tempo di riscoprire il senso delle esperienze che viviamo, alla luce di una promessa di salvezza che va oltre la salute e di una meta che non coincide con il ritorno alla cosiddetta “normalità”, ma con la necessità di costruire un nuovo modo di stare con gli altri e di abitare questa Terra, forti della promessa di un Dio che si è fatto vicino a noi.
In questo senso l’Azione Cattolica Ambrosiana e la Caritas Ambrosiana si lasciano interpellare dal messaggio che l’arcivescovo Mario Delpini ha offerto alla città e alla Diocesi di Milano con il Discorso di Sant’Ambrogio Tocca a noi, tutti insieme. Tocca a noi «nel senso di un dovere da compiere, di un servizio da rendere, di un contributo da offrire con discrezione e rispetto, di intraprendere un cammino che nessuno può compiere al nostro posto. Un cammino che siamo chiamati a percorrere insieme». Vi intravvediamo, fra l’altro, un appello alla formazione di coscienze cristiane convinte e moderne; un richiamo al “farsi prossimo” verso chi è nel bisogno; un impegno, sempre attuale, a contribuire, da cristiani, alla costruzione della “città dell’uomo”.
In questi mesi è cambiata la nostra vita. È cambiato anche il modo di essere Chiesa e di fare associazione, di fare volontariato: non facciamoci prendere dalla nostalgia o dalla smania di tornare al più presto a quello che facevamo. Riscopriamo, piuttosto, la bellezza dell’aprire nuove strade, dell’essere “tutti fratelli” e “Chiesa in uscita” secondo gli insegnamenti di Papa Francesco. Sapendo di poter contare su tanti compagni di viaggio con cui condividiamo una meta ambiziosa e uno stile che ci aiuta ad avere uno sguardo ampio e a non lasciare indietro nessuno.
Vogliamo insieme costruire alleanze e rafforzare il dialogo con tutti, per promuovere, attraverso il nostro servizio nella pastorale ordinaria e nel mondo, una comunità inclusiva e capace di testimoniare la carità. Affinché l’amore di Dio trasformi la vita sociale, economica e delle istituzioni in uno spazio di fraternità, di pace, di giustizia e dignità per tutti.
Il Natale – questo atteso Natale – ci può portare in dono, ancora una volta, fiducia e speranza. Realtà da vivere, testimoniare e offrire a questo nostro tempo assieme alle donne e agli uomini di buona volontà.