Nella Giornata diocesana parliamo con Alessandro Zaccuri, curatore di un volume che ripercorre i cinquant'anni di vita del quotidiano dei cattolici italiani
di Pino
NARDI
«Avvenire è uno strumento che si colloca con una sua originalità. È uno dei pochi giornali in Italia che dichiara apertamente il suo punto di vista, quello del cattolicesimo immerso nel mondo. Inoltre, si caratterizza per linguaggio, per scelta dei temi, per la volontà di un approfondimento controcorrente, che non è mai ideologico. Dà la possibilità di un altro racconto che non è quello che viene fatto genericamente dagli altri mezzi di informazione». Alessandro Zaccuri, giornalista del quotidiano dei cattolici, ha curato il volume sui 50 anni di Avvenire. Nella Giornata diocesana dedicata ad Avvenire (18 novembre), riflette sul suo ruolo nel panorama dell’informazione italiana di fronte a sfide sempre più incalzanti.
Lei ha curato il libro per i 50 anni di Avvenire: qual è il ruolo del giornale oggi?
Il libro non vuole tanto raccontare la storia, quanto ragionare sul ruolo attuale e futuro che un quotidiano come questo può avere. Abbiamo individuato una serie di temi (la riforma della Chiesa, il lavoro, l’accoglienza, un certo sguardo sulla politica internazionale, eccetera) che sono molto presenti sul quotidiano che realizziamo adesso, ma in realtà appartengono alla tradizione di Avvenire fin dai primissimi tempi. Il giornale ha avuto uno sguardo che allora si chiamava di mondialità, poi è diventata globalizzazione: raccontare non solo una parte ma tutto il mondo. Ha avuto una prospettiva di tipo ecclesiale frutto del Concilio Vaticano II, con una serie di elementi che appaiono oggi innovativi e che fortunatamente appartengono anche alla storia di Avvenire. Quindi da questo punto di vista non c’è contraddizione. La novità semmai è quella che il quotidiano nasce 50 anni fa in un contesto in cui la carta stampata ha un peso specifico molto alto. Oggi si tratta di modulare la presenza all’interno di una realtà dove l’informazione scritta fa più fatica. Perciò viene fatta la scelta dell’approfondimento, con un’informazione che sia anche formazione; un giornale che viene “accusato” di essere fin troppo ricco per esaurirlo come lettura in una sola giornata.
Nel tempo delle fake news e dei social viene messa in discussione l’intermediazione e la lettura dei fatti da parte dei giornalisti. Allora come svolgere la professione oggi?
Un’iniziativa molto apprezzata sui social network è la presenza di un galateo per chi intende commentare. Avvenire è uno dei pochi giornali che si è dotato di un galateo, di un sistema di regole così chiaro, proprio in questo contesto altrimenti selvaggio del commento sui social. Chi non rispetta questa regola è sottoposto a una forma di moderazione/mediazione che è comunque un lavoro giornalistico. Fake news è una parola nuova per un fenomeno vecchio, la disinformazione è sempre esistita. Certo adesso viaggia più rapidamente, però ad Avvenire continua a essere fatto il controllo delle fonti. A volte basta ridare evidenza a un dato di per sé indiscutibile e si riesce a fare controinformazione, a riportare l’informazione in una prospettiva più corretta. Le fake news tante volte nascono dal decontestualizzare una notizia senza intermediazione come se fosse una novità assoluta.
Negli ultimi giorni si sono moltiplicati gli attacchi, anche violenti, contro i giornalisti e la libertà di informazione. Il presidente Mattarella ha richiamato invece alla necessità di garantire sempre il pluralismo. Come valuta questa situazione?
Anche chi attacca l’informazione fatta dai giornali non rinuncia ad avere i suoi canali di informazione, che a volte si presentano come spontanei e non lo sono. Sappiamo benissimo che la presenza sulla Rete e sui social è frutto di strategie di comunicazione molto sofisticate, rispetto alle quali l’articolo di cronaca politica impallidisce come tecnica e capacità di persuasione. L’attacco contro i giornalisti prosegue la campagna contro le caste che hanno scatenato proprio i giornalisti una decina di anni fa e che adesso si ritorce contro. Dietro questo c’è comunque un tema più ampio che questa stagione politica sta mostrando: è l’insofferenza verso la competenza. Bene o male i giornalisti sono professionisti della comunicazione e dell’informazione. L’idea che qualsiasi cosa possa essere fatta da chiunque è molto pericolosa, perché può creare forti danni. È un tema più vasto rispetto ai quali i giornalisti devono vigilare, se non altro cercando di essere più competenti loro. Credo che da tutto questo potrebbe rinascere un certo orgoglio che non è semplicemente quello di avere il tesserino, ma di dimostrare di meritarselo giorno per giorno, con competenza e con indipendenza.