In Duomo, senza la tradizionale processione, l'Arcivescovo ha presieduto la celebrazione diocesana del Corpus Domini. «Parola, sapienza e ardore» le coordinate che guidano il cammino

di Annamaria Braccini

Corpus Domini 2021

«Cosa succede a Milano? A Milano si celebra ogni giorno l’alleanza di Dio con il suo popolo. Quest’anno la celebriamo senza la folla, senza la processione solenne che attraversava alcune vie della metropoli, ma la cosa più importante è che Dio rinnova l’alleanza attraverso l’eucaristia».

Nella solennità del Corpus Domini dice anzitutto questo l’Arcivescovo, presiedendo la celebrazione eucaristica che si svolge solo all’interno del Duomo, in forma più dimessa rispetto agli anni passati, ma alla quale prendono parte, come tradizione, tanti fedeli. Ci sono le autorità civili e militari – in prima fila, il sindaco Beppe Sala e il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli -, semplici cittadini, religiose e religiosi, rappresentanti delle associazioni di volontariato, gli appartenenti alle Confraternite del Santissimo Sacramento (tra cui quella della Cattedrale). Concelebrano i membri del Consiglio episcopale milanese, i Canonici del Duomo e altri presbiteri. Insomma, tutti coloro che, a diverso titolo e responsabilità, partecipano all’edificazione della città e del territorio, simboleggiati dalla presenza dei gonfaloni della Regione, della Provincia, del Comune e dell’Ateneo dei cattolici italiani ai lati dell’altare maggiore,

L’omelia

Allora, nella logica della solennità del Corpus Domini e nel riferimento alle letture, la domanda non può che essere dove sia la “stanza” dove si incontra il mistero di Dio, con l’interrogativo da cui prende inizio l’omelia dell’Arcivescovo: «La devozione ha cercato un luogo, la tradizione ha dedicato uno spazio, il desiderio dell’incontro si è immaginato una dimora. C’è, nella pratica della religione, la tentazione di edificare un tempio riservato a Dio, ma la tentazione induce a pensare che Dio abita nel tempio e che la città vive senza Dio».

Tentazione pericolosissima, ma congeniale a quella fede “fai da te” dell’“io sono credente, ma a modo mio” che, in fondo, è comoda per tutti perché rimane nel privato, non si intromette nella società e non impegna i singoli. Come suggerisce ancora l’Arcivescovo: «L’individualismo occidentale contemporaneo manifesta un disagio verso le manifestazioni pubbliche della fede dei credenti. La religione è ammessa nella città secolare, come un sentimento opzionale, come una pratica privata. Tutti hanno diritto a praticare la loro religione, purché non interrompano gli affari e il traffico». Una fede, questa, nella quale «ciascuno coltiva la sua spiritualità e immagina il suo Dio, perché contribuisca al suo privato benessere, a stare bene con se stessi».

Tra il rinchiudere il Signore in uno spazio limitato e il rinchiudersi nel proprio io, la domanda su dove incontrare Dio rimane e la risposta può essere solo una: «Il mistero che salva sta nell’alleanza che non è un sentimento privato, non una fantasia, non una terapia», ma è convocazione nella sua dimensione sacramentale. «Il popolo è convocato per entrare nella comunione che salva. Non si può fare la comunione per televisione. La comunione non è nutrirsi di un pane come fosse ricevere una “cosa”, è l’alleanza che rende partecipi della Pasqua di Gesù. Celebrare l’Eucaristia è accogliere la Parola, lasciarsi istruire dalla sapienza che viene dall’alto, e grazie a questa, ardere dell’amore che accende la vita. Dunque, un dono che non rinchiude la presenza di Dio, né un sentimento che rende tale presenza un’evanescenza; una Parola che chiama ciascuno per essere un cuore solo e un’anima sola, a scambiarsi il segno della pace, a condividere l’unico pane per diventare un solo corpo in Cristo». Per questo «l’alleanza celebrata non è chiusa dentro le celebrazioni. È infatti il dono di una vita nuova: non è la pratica privata di qualche segno di devozione, piuttosto è il dono di una coscienza pura per interpretare il tempo che viviamo come tempo in cui rispondere alla vocazione a servire il Dio vivente».

Il pensiero non può che andare a ciò che abbiamo vissuto in questi mesi: «Abbiamo bisogno della sapienza che viene dall’alto. Questo è il tempo in cui Dio ama i suoi figli e vuole che tutti siano salvati. L’amore di Dio si è manifestato in Gesù: non è una magia che dissolve i problemi, pone fine ai disastri causati o dalla stupidità o dall’avidità umana o dall’imprevedibile capriccio della natura. Coloro che hanno il pensiero di Cristo non si sentono autorizzati a criticare Dio perché hanno l’impressione della sua assenza, in questo tempo tribolato che viviamo, o per la sua indifferenza, piuttosto ardono dal desiderio di servire».

Da qui, le tre parole che indicano il cammino: «La Parola che guida i nostri passi e ci convoca, la sapienza che apre i nostri cuori per leggere la verità di questo tempo, l’ardore perché sia sempre vivo in noi il desiderio di servire, irradiando gioia, pace, fraternità».

Infine, prima della solenne benedizione eucaristica impartita dall’Arcivescovo che tiene tra le mani il tradizionale ostensorio ambrosiano con il Santissimo, il momento dell’adorazione, accompagnato dalla lettura di tre testi tratti dalla Lettera pastorale 1982-1983 Attirerò tutti a me del cardinale Carlo Maria Martini, dalle parole pronunciate da papa Francesco il 3 giugno 2018, in occasione del Corpus Domini, e dal Messaggio di san Giovanni Paolo II per la Giornata missionaria mondiale 2008.

 

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