Il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, sugli organismi che stanno sorgendo nei Decanati: «Un germoglio da custodire e proteggere, ma anche un’esperienza di Chiesa positiva, che cresce gradualmente per rimanere»

di Annamaria Braccini

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Il Vicario generale a un incontro dell'Assemblea sinodale del Decanato di Seregno

Come definire il cammino sinodale in questo anno nel quale, come secondo step, si è proceduto alla costituzione delle Assemblee sinodali decanali? «Potremmo definirlo così: un germoglio fiorito che chiede di essere custodito e protetto dalle intemperie, che sono la fretta e il freddo, ovvero il fatto che non venga considerato nel suo giusto rilievo il significato di questa esperienza e la fretta di vederne subito i frutti». A offrire questa immagine, insieme simbolica e molto concreta, è il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, che aggiunge. «Se eliminiamo l’atteggiamento relativo a questi due estremi, quella che stiamo vivendo è un’esperienza di Chiesa molto positiva, in atto ormai praticamente in tutti i Decanati»

Nel recente incontro tra i Decani, i Moderatori e i Segretari dei Gruppi Barnaba, l’Arcivescovo ha utilizzato, come icona biblica, la Lettera paolina ai Romani. Perché questa scelta?
L’Arcivescovo ha proposto una meditazione su questa Epistola, sottolineandone il capitolo 16, dove Paolo delinea l’insieme di una comunità costituita da persone con diversi ministeri e responsabilità. Una Chiesa fatta di cristiani che, singolarmente o in comunione, testimoniano il Vangelo e rendono feconda l’esistenza di ogni giorno con i segni della vita evangelica. Questo è anche lo scopo delle Assemblee sinodali: riconoscere i segni di Vangelo e metterli in comune per essere più missionari, più capaci di portare lo sguardo del Vangelo nella vita di ogni giorno.

Fra i dati significativi c’è quello di una maggiore consapevolezza della necessità di una corresponsabilità tra laici e sacerdoti…
Sì. Il percorso, su questo aspetto, ha avuto momenti di fatica iniziale. Una parte dei presbiteri e dei laici già impegnati in parrocchia ha guardato al percorso sinodale con un poco di scetticismo, intraprendendo il cammino. Tuttavia, quando i Gruppi Barnaba si sono presentati e hanno dialogato, è emersa sempre più un’unica Chiesa che vive la sua missione in ambiti diversi. Se ci pensiamo, cosi è anche la nostra vita: abbiamo una casa nella quale dobbiamo vivere, tenendola pulita e accogliente, e poi ci sono la strada, i luoghi del lavoro, le persone che incontriamo. Sono convinto che, gradualmente, anche le ultime fatiche rimaste passeranno.

«Il fatto che occorra tempo non significa che non accadrà», recita una delle slides proposte durante l’incontro. È una sensazione diffusa tra chi partecipa alle Assemblee sinodali decanali?
Certamente è una speranza motivata anche culturalmente. Quest’ultima slide nasce dalla Consulta diocesana Chiesa dalle Genti e dalle diverse competenze che vi operano. Giustamente si è notato che, culturalmente, oggi è il metodo social che vince: una cosa o c’è subito o non esiste. Invece, noi siamo convinti che le cose crescono gradualmente per rimanere. Questo permette di leggere e vivere in modo nuovo le relazioni personali e pastorali, non secondo il criterio dell’«usa e getta». Il Sinodo è un processo, è un inizio di percorso: questa è la speranza che muove circa un migliaio di persone in Diocesi, che fanno parte delle Assemblee sinodali e che entrano, in dialogo con molte altre, in una dinamica culturale controcorrente.

Cosa ci aspetta l’anno prossimo?
Ci attendiamo che ogni Assemblea sinodale decanale si orienti verso uno dei temi che hanno evidenziato nella lettura del territorio, faccia un cammino sinodale incontrando realtà che operano nell’ambito scelto, arrivando a un discernimento e decidendo qualcosa che riguardi il Decanato e la parrocchia. Bisogna dimostrare in concreto che si può.

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