Nell’Aula Panighi del Centro di via Sant’Antonio, si è svolta la “Scuola dei Responsabili” del Movimento III Età. Nella mattinata, indicazioni e riflessioni sono venute dal neo assistente spirituale, monsignor Franco Cecchin, dal vicario generale, monsignor Franco Agnesi, e dai Lavori di Gruppo

di Annamaria Braccini

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Arrivano davvero in tanti, di prima mattina, nonostante il clima plumbeo e rigido, provenendo da ogni Zona della Diocesi, per un appuntamento importante, che li coinvolge e ben lo si comprende solo a vedere come seguono attenti le relazioni e si impegnano nei 6 Gruppi di Lavoro. Sono gli anziani che aderiscono al Movimento III Età – i responsabili a livello parrocchiale, decanale e zonale e gli animatori, per la precisione -, che partecipano alla loro “Scuola”, un’iniziativa che il Consiglio Diocesano del Movimento stesso ha sentito il dovere di proporre, presso la sede del Movimento, nell’Aula Panighi del Centro di Via Sant’Antonio a Milano.
Tre i motivi che hanno determinato la decisione di convocare l’assemblea, dal titolo “La lieta notizia per noi anziani” (cui seguirà un secondo incontro il prossimo 16 marzo), come spiega, nella sua articolata relazione, monsignor Franco Cecchin, neo assistente spirituale diocesano del M.T.E., cui sono accanto il vicario generale, monsignor Franco Agnesi, e i due responsabili, Alba Moroni e Carlo Riganti.
«Rispetto a quella che indusse il cardinale Giovanni Colombo a fondare il M.T.E. nel 1972- spiega Cecchin -, oggi la situazione è molto mutata. Inoltre, occorre riuscire a individuare insieme che cosa il Signore chiede come “salto di qualità” per crescere nella fede. Infine, vogliamo interrogarci su come essere persone autenticamente “responsabili”, letteralmente capaci di rispondere a sé e al prossimo».
E non vi è dubbio che la situazione sia davvero diversa dagli anni ’70, anche solo da punto di vista quantitativo, basti pensare che l’aspettativa di vita per le donne, nel 2017, è stata di 84,9 anni e per gli uomini di 80 anni, senza dimenticare l’aumento esponenziale dei cosiddetti “grandi anziani”, ultranovantenni e centenari.
Ovvio che, allora, si debba pensare a proposte differenti, soprattutto, per anziani sempre più impegnati e che si sentono giovani e attivi. Quindi, opportunità inedite, rispetto al passato.
«Si comprende, così, come tali considerazioni e riflessioni inducano a chiederci in qual modo il M.T.E. possa e debba muoversi, programmare, aiutare, supportare perché questa età della vita sia compresa e vissuta in tutte le sue ricchezze. E, di conseguenza, come un responsabile o un animatore debbano agire, organizzare, sostenere iniziative locali in questo senso, sempre con l’aiuto di una proposta a livello diocesano che fornisca loro le indicazioni e i mezzi concreti per essere attuata», prosegue monsignor Cecchin.
Di fronte a oggettive difficoltà sociali – quali le fasce di povertà che si allargano, una sempre più complessa comunicazione intergenerazionale, il rapporto con le nuove tecnologie, la globalizzazione -, come essere, dunque, responsabili? Con reciprocità e facendo valere la memoria. «È urgente che gli anziani raccontino il proprio passato, quello della famiglia, della città, della Nazione. È facendo memoria del passato che si può vivere meglio il presente e progettare il futuro prossimo e lontano. C’è autentica sapienza se si stabilisce una sintesi vitale tra infanzia e vecchiaia e, soprattutto, se si stabilisce una sintesi tra vita e morte, vista quale apertura verso la pienezza. L’anziano è chiamato a vivere l’invecchiamento nella logica del dono di sé. Uno degli obiettivi principali del M.T.E. può e deve essere quello di favorire soprattutto il rapporto vitale, continuo, crescente tra le generazioni per una crescita reciproca».
In questo, il Movimento sente di avere qualcosa da dare e vuole avere qualcosa da dire, da quasi 50 anni, oltretutto: «In una società che tende a ridurre l’anziano a percettore di servizi assistenziali, a rimedio economico per l’impossibilità di offrire lavoro ai giovani; in una società “liquida” senza punti di riferimento, individualistica e del “provvisorio”, la Chiesa deve riproporre, dal punto di vista teologico, spirituale e pastorale, l’idea dell’eternità della vita, come valore e concezione semplicemente umane».

Poi, i Lavori dei Gruppi, ispirati dalle risonanze della relazione dell’Assistente e impostati su alcune domande-base attente alle motivazioni dell’impegno nel Movimento e relative alle necessità emerse in questi ultimi anni. Una parola è unificante: l’ascolto di se stessi, delle altre generazioni, della Parola di Dio, della società nel suo complesso.
E tutto per quel coraggioso salto di qualità che si chiede attualmente all’evangelizzazione, peraltro, ragione prima che spinse il cardinale Colombo a fondare il Movimento. «Si tratta di promuovere accoglienza, toccare con mano la realtà, creare una rete di collaborazione tra i gruppi del Movimento, le articolazioni e le Istituzioni sul territorio. Dobbiamo aggiungere vita ai giorni e non giorni alla vita», dice una delle delegate.
Per tutti rimane basilare la preghiera, avere strumenti di evangelizzazione, conformarsi a Cristo, uscire dalle solitudini, dare un esempio coerente di vita vissuta – «così, prima o poi, i nipoti impareranno» -, avere accanto i parroci, talvolta, un poco assenti e, talvolta, troppo “di manica larga” nella proposta cristiana, suggerisce più di un delegato.
A conclusione, è il Vicario generale a definire un orizzonte significativo di lavoro e di riflessione. «Siete coraggiosi a chiamarvi Movimento III Età, in un mondo nel quale molti non vogliono essere considerati anziani. Eppure, c’è un momento della vita che ci porta a guardare con riconoscenza e saggezza alla vita».
Il pensiero va subito ai sacerdoti: «pensate quanti erano i preti quando eravate giovani, oggi dobbiamo chiedere al Signore vocazioni, ma anche che vi siano sacerdoti in comunità vive, domandandoci cosa sia importante fare relativamente a una pastorale per la Terza Età. Dobbiamo immaginare una pastorale che crei le fondamentali relazioni personali e luoghi di fraternità: solo così la Chiesa vive e, così voi, ai preti potete chiedere cose più precise. Siamo una Chiesa in cammino con alcuni punti fermi: la preghiera, l’Eucaristia, l’amore. Come preghiamo nelle nostre comunità e viviamo la centralità del rapporto con il Signore? Come comprendiamo la vita come vocazione e dono? Siamo una Chiesa che crea luoghi di fraternità per dare speranza alla gente. Ai parroci chiedete con quale stile fare tutto questo».
Poi 4 indicazioni, nel segno di una comunità capace di dialogo, formazione permanente e sinodalità a ogni livello. «Dobbiamo coltivare lo stupore e la sorpresa, perché Dio chiama sempre, attraverso la preghiera dei Misteri Gaudiosi del Rosario. Siamo una Chiesa che sa abitare questo mondo che sta cambiando: aiutiamoci con i Misteri della Luce; siamo una Chiesa che raccoglie il grido del mondo con la sue povertà concrete e spirituali e, dunque, preghiamo con i Misteri del Dolore». Infine, abbiamo una speranza che va oltre, la risurrezione della carne. Per la prospettiva escatologica, i Misteri raccomandati non possono che essere quelli della Gloria
«Dal Rosario può venire la carità di condividere uno stile di Chiesa. Passiamo dagli avvisi agli inviti. È importante la manica larga dei preti, quella stretta o mani che accompagnano? Questo è il nostro compito: accompagnare, discernere e integrare senza abbandonare nessuno».

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