Redazione
«Nonostante tutte le evoluzioni,
la chiesa come edificio,
espressione della sua natura di soggetto comunitario,
resta un fattore, se non il fattore,
coagulante dell’agglomerato urbano».
Lo ha affermato il patriarca di Venezia, card. Angelo Scola
al 4° convegno internazionale
sul tema Architettura e liturgia nel Novecento,
organizzato a Venezia nei giorni scorsi.
La sfida da raccogliere, ha aggiunto il patriarca, è quella di «inventare un tempio simbolo che riesca a parlare alle periferie disgregate di ogg i», dove il committente che opera questa creazione sia tutta “la comunità cristiana”. Una comunità che “sente di aver bisogno del bello”, ma è “timida nell’inventare le vie”.
Un edificio liturgico che sia “al servizio” della “comunità vitale” e non la “preceda”. Questo il criterio da seguire, secondo il patriarca di Venezia, quando si parla di architetture per la liturgia, sia che si tratti di chiese, sia che ci si riferisca a moschee o sinagoghe. Nella realtà odierna, è in corso un “processo di meticciato di civiltà e culture” che ci costringe “a ripensarci alla radice”, ha sottolineato il card. Scola.
Processo lento e imprevedibile, ma al cui interno “dovremo trovare equilibri”. "Basti constatare il fatto – ha osservato – che fino a dieci anni fa in Italia quasi non si sapeva cosa fosse una moschea, e oggi invece esistono centosessanta tra moschee e luoghi di culto”. Così come “sono da sempre inserite nell’agglomerato urbano” le sinagoghe, “meraviglie da contemplare” e “luoghi ancora vitali di preghiera”. Il “vero criterio del dialogo”, ha suggerito, è “che sia la comunità vitale a chiedere la moschea e non viceversa”. “Questo aiuterà a far nascere il luogo di culto secondo una dimensione di risposta alla domanda del popolo, che saprà trovare anche la possibilità della convivenza pacifica”, in un “meticciato” che non è “sincretismo religioso”, ma “differenza nell’unità”.
RICORDARE LO SCOPO PRIMARIO
Per il responsabile del Servizio per l’edilizia di culto della Cei, don Giuseppe Russo, “quando si edifica una chiesa, bisogna prestare attenzione alla realtà sociale e culturale, ma senza dimenticare il ruolo centrale dell’edificio, che per noi cristiani è luogo di culto. Per questo, la forma architettonica deve rispecchiare la forma teologica”. Serve un “dialogo continuo e serrato tra le varie competenze in campo: il liturgista, il teologo, l’architetto e persino l’artista”.
Per non arrivare a un paradosso riportato dal card. Scola, che ha ricordato come recentemente un artista abbia costruito “panche bellissime a vedersi, ma sulle quali era assolutamente impossibile inginocchiarsi”, forse perché, ha ipotizzato, “lui non si era mai inginocchiato in preghiera in vita sua”. “Stiamo cercando di formare una mentalità nuova – ha precisato don Russo – i progetti non devono nascere a seguito di semplici conoscenze con architetti di buona volontà che, però, non hanno le opportune competenze per l’opera specifica. Piuttosto, si potrebbero indire concorsi a invito, selezionando tra professionisti in possesso di curricula particolari, con una specifica sensibilità e competenza”.
CHIESE, LUOGHI D’INTEGRAZIONE
“Le chiese, come le biblioteche e altri edifici pubblici, sono elementi fondamentali per l’integrazione sociale”, ha richiamato nel suo intervento Richard Burdett , direttore della 10a mostra internazionale di architettura di Venezia. Un valore ripreso da don Giuseppe Russo, che ha precisato come “sempre di più oggi si senta la necessità di un centro di aggregazione sicuro. Per questo si tende a realizzare luoghi, annessi agli edifici di culto, con funzione aggregante, punti di riferimento contro la frammentazione dei giovani e il disorientamento delle famiglie”.
Mentre Franco Purini, curatore del padiglione Italia alla mostra di architettura, ha sottolineato come “l’opera architettonica debba emanare i suoi significati decennio dopo decennio, comunicando a ogni generazione nuove valenze ignote ai predecessori”.
UNA NUOVA SENSIBILITÀ
Riflettere sull’architettura per la liturgia “è segno di una nuova sensibilità e volontà di confronto e di dialogo, a cui fa seguito una vivacità nell’esperienza quotidiana di professionisti che cercano di approfondire e immergersi dentro a queste tematiche”, ha affermato don Stefano Russo, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i beni culturali ecclesiastici. Tematiche che accomunano arte e architettura: difatti, un’indicazione emersa già nel corso del Convegno ecclesiale di Verona è “l’apertura di un dialogo con l’arte contemporanea”. “A volte – ha concluso – non è facile rapportarsi con forme espressive di non immediata comprensione, ma esse rappresentano l’oggi, ossia il tempo in cui la Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo, per cui non si può prescindere da un’attualizzazione e un confronto”.
a cura di Francesco Rossi