In Duomo, l’Arcivescovo ha presieduto il Pontificale nel giorno del Natale del Signore. «Tutti coloro che hanno visto il segno del bambino sono incaricati di percorrere la terra, di convincere fratelli e sorelle»

di Annamaria Braccini

Natale 2021 (4)

«A Betlemme, nella casa del pane, per Gesù c’è posto in una mangiatoia, là dove si dirigono gli affamati di una vita che non finisce, di una gioia che resiste alle tribolazioni, quelli che non bastano a se stessi e lo riconoscono, riconoscenti perché il pane che si offre a Betlemme rivela che la vita è dono e che siamo vivi per grazia».

Tra la frenesia e il rumore, la depressione e il rancore, l’arroganza e il sospetto – attori di un immaginario racconto che è, in realtà, la nostra vita di ogni giorno -, a dire così è l’Arcivescovo che, in Duomo, presiede il Pontificale nel giorno del Natale del Signore concelebrato dai canonici del Capitolo metropolitano.

Aperto sulle note del “Gloria in excelsis Deo” e dal canto dei 12 Kyrie, peculiari delle Solennità ambrosiane, il Rito, dopo la Messa nella notte santa in cui il vescovo Mario aveva invitato a aprire le porte, chiama a farsi testimoni per quel “bambino che irradia la gloria di Dio conducendoci, passo dopo passo, a riconoscere la Sua divinità. Luce del Dio che non ci lascia mai”.

Il benvenuto

Un bambino per cui, nel Terzo millennio come 2000 anni fa, «non c’è posto». Per questo il Natale “non è – come si dice nella liturgia – rievocazione di un evento passato, ma pressante appello al nostro presente”. Appello al quale, all’inizio della celebrazione, dà voce l’Arcivescovo, formulando in inglese, spagnolo e italiano, il suo benvenuto. «Questa casa è la casa di tutti, è la chiesa forse più bella del mondo, ma il suo tesoro più prezioso è la celebrazione dei Santi misteri. Il Dio con noi ci raduna per essere un’umanità che pratica la speranza, per essere anche noi, come gli angeli a Betlemme, capaci di cantare la gloria del Signore». Proprio per quel Bambino nella mangiatoia, rifiutato come un ospite inopportuno e che, pure, «in tutti i momenti della storia sta alla porta e bussa».

L’omelia

«Bussa Gesù alla porta di Frenesia e Rumore. Ma nella casa di Frenesia e Rumore la gente è tutta indaffarata nelle proprie cose: bisogna fare, fare di più, fare in fretta: chi ha tempo per accogliere l’ospite che bussa? E Rumore non dice niente: neppure ha sentito che alla porta qualcuno bussa.

Bussa Gesù alla porta di Depressione e Rancore. La casa è troppo triste, la gente è troppo arrabbiata, non ha voglia di vedere nessuno. Anche una visita è un fastidio. Depressione preferisce starsene da sola, sprofondare nel vortice buio della disperazione. Rancore è sempre arrabbiato e sbatte la porta in faccia a chi chiede di entrare».

E così anche per chi bussa alla porta «di Arroganza e Sospetto che si aspettano riconoscimenti importanti e visite illustri, mentre il viandante non è nessuno».

Insomma, «non c’era posto» allora e non c’è nemmeno oggi in tanti ambienti e situazioni. Ma «per Gesù c’è posto in una mangiatoia, là dove si dirigono gli affamati di una vita che non finisce, di una gioia che resiste alle tribolazioni, quelli che non bastano a se stessi, e lo riconoscono»

C’è posto «là dove si fermano uomini e donne che hanno tempo per sedere a tavola, che non si lasciano divorare dalla frenesia. Non sono di quelli che amano perdere tempo né sono pigri, piuttosto sono saggi, sanno distinguere i tempi e riconoscono che non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere».

Donne e uomini saggi e riconoscenti

Donne e uomini riconoscenti, saggi e, spesso, «provati dalla vita, non ingenui, ma piuttosto inclini alla commozione», quelli che «riconoscono di essere visitati proprio là sul ciglio dell’abisso, là dove la disperazione non sente ragioni; quando gli argomenti si rivelano inadeguati a convincere, quando la volontà si è spezzata, quando i rapporti sono vissuti più come problemi che come aiuti, là la fragilità del bambino nella mangiatoia offre il messaggio della tenerezza che restituisce la voglia e il dovere di vivere».

Tutto coloro – conclude il vescovo Mario – «che hanno visto il segno del bambino adagiato nella mangiatoia e che sono incaricati di percorrere la terra, di convincere fratelli e sorelle ad aprire la porta al Signore che bussa, a vincere le obiezioni, le resistenze, le diffidenze». Perché la casa di tutti «si riempia della gioia di Dio».

E, prima della benedizione papale con l’indulgenza plenaria – impartita dall’Arcivescovo per facoltà ottenuta da Sua Santità papa Francesco – l’augurio di un felice Natale e il ringraziamento a tutti coloro che, a diverso titolo, hanno collaborato a rendere solenni e sicure le celebrazioni natalizie, con un pensiero speciale rivolto a chi, magari a causa della pandemia, non ha potuto prendere parte di persona alla Messa.

Al termine del Pontificale in Duomo, il vescovo Mario ha visitato e partecipato al pranzo solidale organizzato dall’Opera Cardinal Ferrari, come tradizione natalizia dei Pastori ambrosiani da molti anni.

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