Il Vicario generale riflette sulla lettera dell'Arcivescovo alla Chiesa ambrosiana, invitata «a invocare la sapienza e ad ascoltare in amicizia e stima reciproca. Parrocchie e famiglie, insegniamoci a vicenda a pregare. Barelli e Acutis, persone libere che hanno avuto il coraggio di donare la loro vita»
di Annamaria
BRACCINI
Nella prima lettera alla Chiesa ambrosiana contenuta nella Proposta pastorale, l’Arcivescovo invita a vivere con uno stile ispirato dalla sapienza e coltivato attraverso la preghiera e l’ascolto. Questi tre termini si possono definire i “pilastri portanti” per l’anno pastorale che inizia? «L’Arcivescovo, in realtà, all’inizio vuole provocarci un poco: “Si può evitare di essere stolti”, recita il sottotitolo della Proposta – osserva il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi -. Forse qualcuno potrebbe risentirsi di fronte a questa parola, ma credo invece che esprima efficacemente il bisogno che abbiamo di sapienza pratica, che orienta l’arte di vivere, di stare al mondo, di stare insieme, di interpretare il nostro tempo e di compiere scelte sagge e promettenti. L’Arcivescovo ci ricorda che quest’anno, per riprendere, è più che mai necessario “metterci l’anima”. Invocare la sapienza nella preghiera, ascoltare in amicizia e stima reciproca e cercare insieme “come” dobbiamo riprendere: ecco la proposta dell’inizio».
L’Arcivescovo auspica che la preghiera sia anche di famiglia e comunitaria. Dopo aver vissuto tante celebrazioni a casa, la situazione può essere occasione per promuovere finalmente la famiglia quale vera e propria Chiesa domestica, come diceva il Concilio?
La preghiera comunitaria, eucaristica e devozionale, è vissuta quasi sempre bene nelle nostre comunità. La pandemia e la chiusura in casa per tutta la Quaresima ha incoraggiato la preghiera in famiglia, anche aiutata dai sussidi preparati dai Servizi diocesani e dalle parrocchie. L’Arcivescovo ricorda che «l’esercizio del sacerdozio battesimale abilita tutti i fedeli a promuovere, animare, condurre la preghiera anche nella propria casa». Tuttavia non dobbiamo nasconderci che ciò non è facile e automatico. Non è giusto far passare l’idea che si può pregare solo in parrocchia, ma neppure fermarci a ribadire una bella idea teologica che la famiglia è Chiesa domestica. Ecco un’altra occasione per creare legami tra diverse espressioni di Chiesa e per incoraggiarci e insegnarci a vicenda a pregare. Anche attraverso il linguaggio dei social (che sono una community) si può insegnare a pregare e qualcuno meritoriamente ci sta provando, facendo anche così comunità.
Tra le date fissate espressamente dalla Lettera c’è il 4 ottobre, la Domenica dell’Ulivo. Quale il suo significato?
Quando fu chiaro a tutti che non avremmo potuto celebrare insieme la Domenica della Palme – forse la Santa Messa più frequentata dell’anno – ci ricordammo della pagina biblica della colomba che tornò da Noè portando nel becco una tenera foglia di ulivo. Perché non condividere, dopo un tempo devastante e ancora incerto, un annuncio di pace, di ripresa fiduciosa, di augurio che può raggiungere tutti? Alcuni parroci forse sono riusciti in modo creativo a far arrivare l’ulivo nelle case. Ora possiamo farlo tutti: un ramo di ulivo, l’olio, un segno analogo e creativo. E’ davvero suggestiva la coincidenza di questa domenica con la memoria di San Francesco e con l’anno dedicato alla ripresa dell’enciclica di papa Francesco Laudato si’, dedicata alla cura della casa comune.
L’Arcivescovo sottolinea alcune figure di riferimento come Armida Barelli e il giovanissimo Carlo Acutis, che verrà beatificato il prossimo 10 ottobre. Quali sono gli aspetti più significativi di queste indicazioni?
Mi sembra un modo molto bello di conoscere persone sapienti. Diverse tra loro, ma entrambe persone libere e coraggiose. Una donna che negli anni della giovinezza e dell’anzianità ha “sognato” in grande, e un ragazzo che ha avuto “visione” limpida della meta della sua vita, come direbbe il profeta Gioele. Le loro figure sono un invito a riconoscere che lo Spirito Santo chiama ancora oggi giovani donne e uomini ad accogliere la vita come un dono e ad avere il coraggio di donarla, andando incontro al Signore con altri fratelli e sorelle che hanno bisogno di essere amati e incoraggiati.
La pandemia ha mostrato che «siamo tutti sulla stessa barca». Questa consapevolezza può favorire un rinnovato slancio per la “Chiesa dalle Genti”?
Siamo sulla stessa barca, ma rischiamo di stare tutti chiusi nella nostra cabina. Dobbiamo stupirci di quanto il Signore sta operando nel cuore, nella mente e nelle mani di tanta gente. Dobbiamo scoprire che solo aprendo la porta e stando insieme troviamo motivi di crescita e di sicurezza. Dobbiamo imparare a riconoscere il grido di dolore e l’ansia di giustizia di tante persone e tanti popoli, come ci ha aiutato a fare l’Arcivescovo alle 6,28 dei giorni di Quaresima. Dobbiamo testimoniare che sappiamo dove ci conduce la barca nella quale navighiamo: la Città santa, la nuova Gerusalemme, la Sposa dell’Agnello. Questo è il dono del Sinodo “Chiesa dalla genti”. Tocca a noi accoglierlo.