Alla Bicocca, nella prima edizione della Lecture intitolata al Cardinale, partecipata conferenza di Filippo Grandi, Alto commissario Onu per i Rifugiati
di Annamaria
BRACCINI
Una lettura preziosa per i giovani, parole preveggenti e profetiche per tutti. La prima Martini Lecture Bicocca – nell’omonimo ateneo, che la propone con il suo Centro pastorale “Carlo Maria Martini” e la Fondazione intitolata all’indimenticabile Arcivescovo – è questo. L’affollato incontro, dal titolo «Esodi forzati oggi: una questione di umanità», prende spunto dagli scritti martiniani riuniti nel volume Giustizia, etica e politica nella città. Il saluto di apertura, a nome del Comitato scientifico, è portato da don Marco Cianci, responsabile della Pastorale universitaria della Diocesi (che patrocina l’iniziativa) e assistente ecclesiastico della Bicocca. Dopo il saluto del rettore Cristina Messa, con la moderazione della giornalista di Radio24 Valentina Furlanetto la mattinata di studi vede la Lecture affidata a Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, primo italiano a ricoprire questo ruolo.
Martini, un’eredità di chiarezza e realismo
La straordinaria attualità del pensiero di Martini in tema di accoglienza, immigrazione, Europa è sottolineato da Paolo Bonetti, docente di Diritto costituzionale e direttore del Master “Diritto degli stranieri e Politiche migratorie”, che ripercorre e rilegge alcuni stralci di interventi dell’allora Arcivescovo di Milano, in specie dal 1986. «Pensiamo che i tempi siano cambiati da trent’anni fa, ma tante questioni sono le stesse di oggi», osserva, richiamando la chiarezza e il realismo con i quali Martini pose il tema della migrazione. «Certamente quando il Cardinale rifletteva negli anni Novanta, a Milano c’erano 30 mila immigrati; oggi sono 220 mila. “Ricordiamoci – scriveva nel 1994 – che, affrontando correttamente i problemi che quotidianamente vivono nel nostro Paese gli stranieri, contribuiremo alla soluzione di tanti problemi strutturali riguardanti pure gli italiani. Non si tratta di scatenare pericolose rivalità tra persone in stato di bisogno; si tratta piuttosto di affrontare globalmente i problemi posti sul piano sociale dall’immigrazione, con vantaggio per tutti, a partire dai più deboli e dai più sfortunati”». Un concetto, anzi una realtà, che per Bonetti sfugge ancora a molti, specie a livello politico.
Il pensiero non può che tornare allo splendido Discorso di Sant’Ambrogio del 1989, intitolato «Per una città e un’Europa accoglienti» e a quel primo sommario elenco dei diritti fondamentali che si dovrebbero garantire agli stranieri in condizione di parità con i cittadini, stilato nel 1992. Diritti, in gran parte, negati tuttora. Il riferimento è anche al rapporto con l’Islam (a tale tema fu dedicato il Discorso del 1990).
Personalismo cattolico, i principi confluiti nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, regole per la casa comune, principi di eguaglianza, valori comuni, atteggiamento positivo, porte e finestre aperte e lavorare contro il trattamento discriminatorio: queste le basi del pensiero martiniano anche sul fronte del razzismo, visto come fenomeno strisciante. «“Gli stranieri che invadono le nostre città sono un prezioso segno dei tempi che ci interroga – scrisse -. Non sono una maledizione, ma rappresentano una chance per il rinnovamento della nostra vita”». Per questo «Martini ci lascia un’eredità impressionante per l’edificazione di politiche che non temano l’immigrazione, per educare tutti a vivere il fenomeno migratorio con quell’apertura che ha le sue radici nella tradizione ebraico-cristiana».
La Lecture di Filippo Grandi
«Il numero totale delle persone costrette a fuggire a causa di guerre, violenze, persecuzioni e malgoverno, ha superato per la prima volta i 70 milioni, di cui circa 25 milioni possono essere considerati rifugiati a tutti gli effetti. In Italia i rifugiati sono 131 mila, che significa 2,4 per 1000 abitanti. Non dimentichiamo che, nel mondo, 8 rifugiati su 10 sono accolti in Stati fragili o in via di sviluppo». Parte dalle cifre l’intervento dell’Alto Commissario che, illustrando situazioni internazionali come quella della Siria – «8 anni di devastante conflitto hanno costretto alla fuga quasi metà della popolazione pre-bellica» -, osserva: «L’Unhcr ritiene che sia importante mantenere la distinzione tra i due gruppi, per meglio difendere i diritti specifici di entrambi. I rifugiati godono anche di una serie di diritti in conformità al diritto internazionale, giustificati dall’impossibilità di fare ritorno nei propri Paesi senza che la loro vita sia messa in pericolo. La gestione delle migrazioni internazionali, invece, è regolata da una serie differente di accordi, compresi quelli che prevedono il rimpatrio dei richiedenti asilo la cui domanda non è stata accolta. La risposta ai flussi migratori misti, pertanto, richiede un approccio coerente, ma differenziato». Evidente che ciò imponga una stretta cooperazione fra gli Stati: «Eppure è proprio l’insufficienza di questa cooperazione – specialmente in Europa – che ha trasformato in crisi un fenomeno serio e complesso, ma fondamentalmente gestibile».
Tra esperienze di accoglienza, comunque positive, esistenti anche in Italia, iniziative dell’Organizzazione da lui guidata e proposte globali – come i due compact mondiali, uno sui rifugiati e l’altro sulle migrazioni – la conclusione del milanese Grandi non può che essere martiniana: «Nella Milano che lasciai più di trent’anni fa, per andare a fare il volontario alla frontiera tra Thailandia e Cambogia, era arcivescovo Carlo Maria Martini, un uomo le cui posizioni, già allora, erano di ispirazione a chi di noi cercava orizzonti ampi, diversi, di confronto e scambio. Erano posizioni forti, ma che sempre univano l’ideale al pratico. Anche in questo connubio, Martini faceva luce. Il 6 dicembre di trent’anni fa, alla vigilia di Sant’Ambrogio, l’Arcivescovo, esortando Milano a essere “luogo di accoglienza e segno di unità”, citava proprio un passo di Ambrogio: “Quelli che escludono i forestieri dalla città non meritano certo approvazione, ciò significa cacciarli proprio quando si dovrebbero aiutare. Le fiere non scacciano le fiere e l’uomo scaccerà l’uomo? Non sopportiamo che i cani stiano digiuni quando mangiamo, e scacciamo gli uomini?”».