Questa la chiave per superare tristezza e lamenti e ritrovare speranza, nella Chiesa come nella società: se ne è parlato a Fatima, nel dialogo tra l’Arcivescovo e i fedeli ambrosiani che ha messo al centro la Proposta pastorale 2022-2023
di Annamaria
Braccini
Parte da un ringraziamento a tutti, parlando «di un’esperienza molto forte anche a livello personale», l’Arcivescovo che, nel grande auditorium “Pastor bonus” del Centro pastorale dedicato a Paolo VI a Fatima, alla fine della seconda giornata del pellegrinaggio incontra quasi 400 ambrosiani, essendosi aggiunti ai 350 pellegrini un’ulteriore cinquantina di fedeli provenienti sempre dalla Diocesi.
A tema, la Proposta pastorale 2022-2023, particolarmente utile a comprendere, «in un luogo di preghiera come questo, quale sia il punto irrinunciabile e cruciale del proprio pellegrinaggio, perché un viaggio diventi un’autentica esperienza spirituale», sottolinea l’Arcivescovo.
Esperienza che, nel pomeriggio, si era fatta particolarmente intensa nella visita al Santuario e al Museo che conserva la preziosissima corona della Vergine in cui, per volere di san Giovanni Paolo II, fu inserito il proiettile che lo colpì nell’attentato del 13 maggio 1981 – giorno del 64esimo anniversario della prima apparizione della Madonna ai tre pastorelli – da cui scampò per la «la mano materna di Maria», come lui stesso disse più volte.
Da una domanda si avvia la riflessione dell’Arcivescovo.
Ritrovare la relazione con Dio
«Noi cristiani abbiamo qualcosa da dire a questo nostro tempo, al luogo in cui abitiamo e alle nostre comunità? Io – confida monsignor Delpini – ho pensato a questo nel momento in cui ho scritto la mia Proposta pastorale, interpretando il tempo in cui viviamo e chiedendomi se esista qualcosa che illumina, quella luce che pare mancare oggi alla nostra società».
Evidente la risposta: «Sono persuaso che ciò di cui questa società ha bisogno si può esprimere con una chiarezza provocatoria e che trova, oggi una reazione di indifferenza: questa società ha bisogno di Gesù Cristo, di una relazione con Dio. La concentrazione sul Mistero che salva, svelando la speranza affidabile, non significa chiudersi nelle chiese, ma accendere un fuoco. Per questo dobbiamo vivere la liturgia non come qualcosa per addetti ai lavori che non può interessare molti, ma come un avvicinarsi a una sorta di roveto ardente».
Poi una seconda considerazione, che muove da una ulteriore domanda: «Possiamo dire qualcosa non solo alla società, ma anche a questa nostra Chiesa?». In altre parole, «di cosa ha bisogno la comunità cristiana?». Nelle parole dell’Arcivescovo, torna così uno dei temi a lui più cari, la denuncia di un atteggiamento lamentevole, triste, che sembra caratterizzare anche la comunità ecclesiale: «La nostra Diocesi è straordinaria, mi riempie di meraviglia per l’enorme generosità di cui vive, per la creatività nella solidarietà, per l’attivarsi di fronte a qualsiasi bisogno, per i tanti interessi relativi alla cultura – dice infatti -. Seppure, per esempio, i Gruppi Barnaba abbiano testimoniato, quest’anno, realtà bellissime, il tono rimane triste – scontento per l’essere meno numerosi, più vecchi -, proprio perché manca un rapporto vero con Gesù. Speranza e vocazione sono il risultato più immediato dall’incontro con Cristo, mentre il non riconoscerlo porta appunto a non avere speranza e a non capire che la vita ha sempre un senso».
Dunque, la preghiera, il vivere bene i tempi liturgici non è una questione astratta, ma un modo di interpretare il presente, come accade nella Proposta pastorale, che rivela tutta la sua concretezza se solo si pensa all’emergenza educativa, per cui non bastano pur lodevoli iniziative di sostegno ai giovani, «ma serve indicare loro che l’esistenza ha un significato».
Testimonianza e sinodalità
Ma come si fa a parlare di Dio a un mondo che non vuole ascoltare? Offrendo appunto la testimonianza di cristiani credibili, a proprio agio nella storia. «Mi pare proponibile che si possano vivere le celebrazioni in modo che ne esca un popolo nuovo – prosegue monsignor Delpini -. Un accostarsi all’Eucaristia che sia fonte di gioia, di speranza, mostrando che la disgregazione della società, mossa da un individualismo esasperato, può essere superata nella comunione e nell’unità. Le tre parole per fare questo, non a caso titolo della Proposta, sono infatti Kyrie (la professione di fede pasquale), Alleluia (la gioia dell’annuncio della Parola – che dovrebbe essere doverosamente cantato con una voce, mentre il tema del canto corale è ancora troppo trascurato, ammette l’Arcivescovo -), e Amen (che vuole dire “ci sto”)». Una regola di vita più che parole, quindi, che permettono di sperimentare «anche la sinodalità come percorso della missione per edificare la Chiesa dalle genti».
A conclusione dell’incontro, la consegna a ognuno dei presenti di semplici corone (offerte da una famiglia ambrosiana e benedette nella Messa della mattina) precede la recita serale del Rosario nella Cappella delle Apparizioni, presieduto dall’Arcivescovo, cui sono accanto tutti i sacerdoti ambrosiani che partecipano al pellegrinaggio.
Con i Misteri gaudiosi si prega in tante diverse lingue, chiedendo la pace e la serenità dei cuori, simboleggiate dalle molte centinaia di fiaccole che illuminano un cielo ormai notturno, nella fiaccolata che si snoda nella spianata del Santuario seguendo la statua della Vergine, Maria regina della pace.
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