L’Arcivescovo ha presieduto la Celebrazione nella Notte di Natale, preceduta dalla Veglia di preghiera. «Il pensiero audace è quello che diffida dei giochi di parole, degli schemi mortificanti e dei limiti imposti dalla rassegnazione alla morte»

di Annamaria BRACCINI

Messa di Mezzanotte 2019

Lo smarrimento e «il non disperate», perché «viene nel mondo la luce e il mondo, la vita non sono un precario rifugio sospeso sull’inquietante abisso del nulla e prossimo a scomparire. Il mondo è stato fatto per mezzo di lui, il Verbo di Dio. I figli degli uomini sono chiamati alla vita, non per una esperienza provvisoria, ma per partecipare alla vita di Dio, perciò si chiamano e sono figli di Dio».
È la Celebrazione presieduta dall’Arcivescovo nella Notte di Natale, in cui tutto parla della nascita del Signore: la luce che inonda la Cattedrale, i moltissimi fedeli, la Parola di Dio, le Letture, tra le quali la tradizionale, ambrosiana, “Esposizione del Vangelo secondo Luca” di sant’Ambrogio, proclamata nella Veglia di preghiera che precede l’Eucaristia. Nella cui processione iniziale il vescovo Mario – accanto a lui concelebrano i Canonici del Capitolo metropolitano – porta tra le mani l’artistica raffigurazione lignea del Dio Bambino che depone nella “culla”, posta ai piedi dell’altare maggiore.
È “la luce che splenderà oggi su noi, poiché per noi è nato il Signore”, come dice il canto e suggeriscono la Kalenda natalizia e lo splendido brano evangelico del Prologo del Vangelo di Giovanni, “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”.
Una “luce” non accolta e nemmeno compresa spesso, per i tanti motivi e atteggiamenti che ci caratterizzano in questo nostro mondo attuale segnato dalla tristezza, come suggerisce l’Arcivescovo.
«Si legge nella vostra fretta che state scappando da qualche cosa che vi angoscia. Si capisce dalla vostra avidità che avete un vuoto dentro, una fame che non si riesce a saziare. Il vostro smarrimento e le vostre incertezze rivelano che siete nelle tenebre».
Nel buio, oggi come duemila anni fa – come i pastori, in Palestina – infatti, «non l’hanno accolto quelli che hanno risposto: “Ho cose più importanti da fare stanotte. Devo custodire il gregge, devo curare i miei affari. La mia vita non dipende da un bambino deposto in una mangiatoia, ma dalle mie ore di lavoro, dalla mia competenza. Non l’hanno accolto quelli che hanno risposto che non devono niente a nessuno, che non hanno bisogno di nessuno».
In una parola, non lo accolgono tutti coloro che «non aspettano nessun salvatore e a cui “non manca niente”», quelli che dicono: «“Abbiamo finito di credere alle promesse. Noi siamo gente seria, razionale, scientifica. Non c’è nessuna salvezza. Per un po’ si vive e poi si muore: ecco tutto”.
Eppure quella del Signore, è una luce che «illumina ogni uomo e si propone come una amicizia».
«Il Verbo si fece carne. La gloria che rende partecipi della vita di Dio non è, dunque, una risposta, ma una presenza, non è una soluzione ai nostri problemi, ma la prossimità, non è un evento grandioso, ma la condivisione della fragilità. Lo sguardo credente riconosce la luce nella fragilità dove dimora l’amore».
È l’offerta che ci viene offerta di diventare figli di Dio. Da qui due percorsi:
«Abbiamo bisogno di un pensiero audace, che non si perde in artificiose e presuntuose astrazioni, ma che trova nomi per condividere lo stupore. Quella sapienza che prende inizio dalla riconoscenza, quel coraggioso pensare che non si lascia mortificare dalla banalità e dalla convenienza, che non impone il suo pregiudizio quando dice la parola misteriosa e affascinante, la parola che l’ottusità teme e che la libertà desidera. Il pensiero audace è quello che diffida dei giochi di parole e degli schemi mortificanti, dei limiti imposti dalla rassegnazione alla morte».
Inoltre, occorre tempo. «La grazia di diventare figli di Dio non opera nell’istante magico, ma nel libero conformarsi. Il tempo di cui abbiamo bisogno non è la parentesi delle feste per immaginare un mondo diverso dal quotidiano ordinario. Abbiamo bisogno, piuttosto, di un tempo che si possa vivere come occasione per decidersi: scegliere di essere amorevoli, invece che egoisti; decidersi a servire, invece che pretendere di essere serviti.
E tutto questo, insieme: «Abbiamo bisogno di tempo e della storia e di lasciarci convocare per essere il popolo della pace. Nessuno può far festa da solo, nessuno si mette in cammino sui sentieri del Signore come un viandante solitario. Diventare figli di Dio è grazia di appartenenza al popolo di Dio.
Abbiamo bisogno dell’Eucaristia che ci fa Chiesa, di credere in un Signore che deve essere accolto; abbiamo bisogno del tempo per la libertà, abbiamo bisogno del pensiero audace che contempla la gloria dell’Unigenito».
Poi, l’augurio e la benedizione del vescovo Mario per tutti, ripetuto in inglese e in spagnolo.

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