Il centro di «prossimità» resterà aperto fino alla fine di settembre con 350 somministrazioni al giorno e cento volontari impegnati
di Luisa
BOVE
Non è la prima volta che la parrocchia San Remigio di Vimodrone apre un centro vaccinale nei suoi locali. Lo aveva già fatto il parroco precedente, quando gli anziani dovevano ricevere il vaccino antinfluenzale. Ora don Maurizio Pegoraro, che guida la comunità dal settembre scorso, non ha esitato neppure davanti alle somministrazioni anti Covid-19. «L’iniziativa è partita prima di Pasqua – spiega -, attraverso il sindaco Dario Veneroni e l’assessore alla salute Enzo Gregoli, che mi hanno segnalato questa opportunità: come già altre volte la parrocchia si è messa a disposizione. La Diocesi stessa aveva chiesto la disponibilità di oratori o locali per questo tipo di servizio. Questa volta però mi hanno prospettano un impegno più prolungato, si parlava di alcuni mesi. La somministrazione sarebbe iniziata a maggio, come poi è avvenuto».
Quali locali avete messo a disposizione?
Quelli del centro parrocchiale. Fino a 50 anni fa l’oratorio era esattamente dietro alla chiesa, poi ne è stato costruito uno nuovo ed è rimasto il vecchio spazio di 12 metri per 4, utilizzato da Azione cattolica, Caritas e Cisl; poi c’è l’appartamento delle suore. In quel luogo adibito a incontri abbiamo creato tre postazioni per le vaccinazioni, uno spazio per chi ha già ricevuto la dose, un pronto soccorso, il pre- triage e il triage.
Ci sono volontari?
Certo. Quello che ha stupito tutti, al di là dell’aspetto più tecnico, riferito ai medici e agli infermieri, è stata proprio la disponibilità dei volontari. Ne sono arrivati un centinaio e per una realtà piccola come Vimodrone è un numero molto significativo. Abbiamo ragazzi di 20 anni, qualcuno anche più giovane al primo anno di medicina, altri di 70 anni, insomma di qualsiasi età, chi legato alla parrocchia e chi più distante. All’interno di questo servizio ciò che è risultato promettente è stata proprio la risposta del volontariato.
Come avete organizzato il lavoro al centro vaccinale?
Prima c’è stata la preparazione pratica durata quasi un mese: sistemazione degli ambienti, allestimento del centro con entrata e uscita, primo soccorso, postazioni con i computer… Poi siamo passati alla formazione dei volontari, tre o quattro serate con l’intervento di medici che lavorano a Vimodrone, che hanno affrontato anche l’aspetto psicologico, pensando alla paura di vaccinarsi. Apriamo dalle 8 alle 20 tutti i giorni, compresi sabato e domenica, tranne il venerdì, giorno di mercato, che dedichiamo alla sanificazione più precisa, quando i locali vengono utilizzati anche dall’Azione cattolica e dalla Caritas. Arriviamo a 350 vaccinazioni al giorno, la metà di somministrazioni dei centri più organizzati di noi, come quello della vecchia filanda di Cernusco sul Naviglio. Qui arrivano gli abitanti di Vimodrone, ma anche di altri Comuni, chiunque si prenoti da vicino o da lontano.
La vostra presenza è servita anche a convincere gli indecisi?
Direttamente no, però la percezione, soprattutto a livello di volontari, è una grande attenzione anche nel pre-triage: i cittadini pongono tante domande e chiedono consigli, soprattutto sui possibili rischi, ma se arriva un medico la domanda diventa meno problematica. Non ci sono mai state conflittualità o richieste di ricevere un determinato vaccino.
Che cosa significa per voi questa collaborazione con la società civile?
Da una parte una speranza: dopo mesi di fatiche (noi, come tutte le parrocchie, abbiamo celebrato il doppio di funerali) finalmente il clima è più sciolto, vediamo la prospettiva di uscire dalla pandemia, anche se le domande rimangono. Dall’altra, diamo un segnale a livello civile ed ecclesiale. Il nostro è un centro vaccinale di “prossimità”, non è un hub gigantesco, e resterà aperto fino alla fine di settembre. In pratica garantiamo un impegno di cinque mesi, anche se adesso qualcuno andrà in ferie e altri arriveranno a dare una mano. E poi, vista la grande risposta che abbiamo avuto da parte del volontariato, vogliamo dare un riconoscimento. Organizzeremo un incontro in cui saranno gli stessi volontari a porre domande (visto che ne hanno ascoltate tante), inviteremo un medico, uno psicologo e in assemblea ascolteremo i racconti dell’esperienza vissuta perché diventi patrimonio di tutti.