Nel Discorso alla Città l’Arcivescovo sottolinea «l'assurdità della guerra». Raccontiamo le esperienze di accoglienza di profughi in corso in due Comunità pastorali della Brianza e del Varesotto

di Claudio URBANO

Un pranzo comunitario con gli ucraini a Muggiò
Un pranzo comunitario con gli ucraini a Muggiò

Case parrocchiali libere, ma soprattutto comunità pronte ad accogliere. Sono questi gli ingredienti che lo scorso marzo hanno permesso a tante famiglie ucraine di trovare un’ospitalità immediata in Diocesi, scappando dalla guerra nella propria patria.

Restare o tornare?

«Abbiamo subito risposto all’appello del Papa», ricorda Danila Sanvito, che parla a nome dell’associazione “Madre della Misericordia” di Muggiò (MB). Qui la “Casa della carità” – ricavata in quella che era la canonica del parroco – dal 2019 ospita donne in situazioni di difficoltà coi loro bambini. Al piano terra opera la San Vincenzo, poi ci sono spazi per il corso di italiano e altre attività. Qui hanno trovato alloggio due famiglie ucraine; con le altre ospitate in appartamento e in affitto, la comunità Madonna del Castagno di Muggiò è arrivata ad accogliere 30 nuclei familiari con 42 minori, mentre ora le famiglie rimaste sono 14. «Da poco le abbiamo incontrate tutte singolarmente: cinque di loro pensano di restare in Italia, soprattutto chi ha trovato lavoro e chi ha figli che si sono integrati a scuola; per le altre c’è l’incognita di quando poter tornare in patria».

Rispondere alle necessità

Stesso modello di accoglienza nella Comunità pastorale Santa Teresa Benedetta della Croce di Gazzada-Schianno (Varese), che raccoglie anche i paesi di Lozza e di Morazzone: qui erano due le case parrocchiali disponibili, ma si sono fatte avanti anche una ventina di famiglie offrendo ospitalità. Non c’è solo l’alloggio, l’accoglienza è fatta della risposta a tante necessità: «Oltre alle utenze e alla spesa alimentare, con la nostra raccolta fondi e i soldi inviati da Caritas ambrosiana – , sottolinea don Stefano Silipigni, parroco a Gazzada -, d’accordo con il Comune, abbiamo fatto in modo che una mediatrice ucraina collaborasse con le scuole frequentate dai ragazzi: è un punto di riferimento fondamentale». E poi ancora le biciclette donate ai ragazzi, i computer donati da un’importante azienda informatica della zona. E anche il contributo degli stessi ucraini: uno di loro, medico, ha aiutato a capire quali farmaci italiani corrispondessero a quelli ucraini.

Finché occorre, si va avanti

Tornando a Muggiò, qui ormai da alcuni anni la comunità sostiene le attività caritative con la raccolta “Di famiglia in famiglia”, attraverso cui ogni due mesi ciascuno dona una somma che va dai 5 ai 200 euro. «Ora per le famiglie ucraine la comunità sostiene l’affitto di quattro appartamenti, 3000 euro in totale», fa i conti Sanvito, che fa il punto della situazione con spirito pragmatico: «Ciò che stiamo facendo ci sta già impegnando molto, e a volte ci chiediamo: fino a quando dovremo continuare? Però, fin che c’è la necessità, si va avanti. D’altra parte, – prosegue – le famiglie sono tutte molto riconoscenti; e se qualcuna ha deciso di restare in Italia, tutto sommato vuol dire che ha trovato una bella accoglienza».

A Gazzada don Stefano non usa giri di parole per spiegare cosa abbia portato la sua comunità ad aprire le porte: «C’è anche qualche famiglia che non è legata alla parrocchia, ma la maggior parte di chi ha dato una mano vive i valori della fede. Il messaggio del Vangelo ha fatto il suo effetto; o almeno, l’appello all’accoglienza ha trovato un terreno già dissodato». Un’accoglienza che ha dunque radici profonde nella comunità: «Essere già in relazione con altri – ne è convinto don Stefano – predispone anche a lasciarsi coinvolgere, e a fare la propria parte».

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