Il XXV Cammino di Fraternità promosso dalla Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia ha visto la partecipazione di oltre 3500 delegati per la Celebrazione solenne in Duomo presieduta dall’Arcivescovo: Al termine, la Processione per le vie centrali della città con i simboli pluricentenari della devozione popolare
di Annamaria
Braccini
I grandi crocifissi, gli stendardi e i gonfaloni, le immagini della devozione popolare che sembrano dipinte e, invece, sono fatte di fiori, gli abiti processionali.
Un’immagine insolita del Duomo fa da suggestiva cornice alla Celebrazione solenne che corona la giornata di chiusura del XXV Cammino di Fraternità promosso, a Milano dal 15 al 17 giugno, dalla Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia.
Incontro a carattere nazionale che vede riuniti in Cattedrale oltre 3500 appartenenti a Confraternite provenienti da tutto il Paese, con i loro rettori, guidati da monsignor Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli e assistente ecclesiastico nazionale, che concelebrano l’Eucaristia presieduta dall’Arcivescovo.
Nelle prime file siedono i presidenti regionali (Francesco Antonetti, presidente della Confederazione, prende la parola poco prima della Messa) e le autorità, tra cui l’assessore Marco Granelli in rappresentanza del sindaco di Milano, esponenti della Regione Liguria: più di uno indossa le vesti della Confraternita cui appartiene.
I Dodici Kyrie, peculiari delle Solennità in Rito ambrosiano, risuonano tra le navate all’inizio del Rito, nel quale l’indirizzo di saluto è portato don Claudio Carboni, dal 2013 delegato arcivescovile per l’Associazione delle Confraternite del Santissimo Sacramento della Arcidiocesi di Milano che ringrazia dell’accoglienza e richiama «il propizio anniversario» del XX di fondazione dell’Associazione diocesana, avvenuta 14 giugno 1998 per volere del cardinale Carlo Maria Martini. «Vogliamo essere Chiesa in cammino che segue il Signore con la gioia di una comunità viva e lieta», conclude citando Evangelii Gaudium in cui papa Francesco scrive che «nella pietà popolare si può vedere come la fede ricevuta continua a trasmettersi».
Dalla pagina evangelica di Matteo 22 con la parabola del banchetto delle nozze del figlio del re, prende spunto la riflessione di monsignor Delpini.
L’omelia dell’Arcivescovo
«Naturalmente i protagonisti sono i più preoccupati di come essere vestiti alla festa, ma anche gli altri invitati alle nozze lo sono. C’è, poi, l’infelice che si presenta come è sempre stato, uno straccio che non merita l’attenzione di nessuno».
Chiara l’indicazione simbolica degli abiti forniti dal re – dal Signore -, senza i quali non si può entrare alle nozze.
«Abiti che non servono a farsi guardare o compatire, ma a dare gioia e luce a chi sta intorno, a diffondere un clima gioioso nell’arte di compiacersi del bene, per il solo fatto che è bene, e provarne gioia. La festa di nozze è per celebrare l’intenzione di dare gioia agli altri, facendosi carico della festa altrui».
Così «l’abito di nozze serve a dichiarare l’intenzione di partecipare alla gioia degli altri».
Da qui l’indicazione su come leggere le parole di Gesù, magari quando si è troppo preoccupati di mostrarsi, con la pretesa di farsi notare per il proprio prestigio o anche per l’infelicità.
«La parabola insegna che non c’è posto, alla festa nuziale, per chi si ostina a curarsi solo di sé».
Il pensiero va alle Confraternite presenti che, oggi, si occupano di preghiera, trasmissione della fede, volontariato.
«Le Confraternite si distinguono per abiti che dichiarano un’appartenenza e rivelano una disponibilità. Le loro intenzioni sono quelle raccomandate dall’episodio delle nozze del figlio del re, dove fratelli e consorelle non si distinguono per farsi notare, ma per rendere più gioioso il mondo. Per questo desidero ringraziarvi per aver scelto Milano perché la vostra presenza semina gioia e dà un senso di festa, invitando a volgere lo sguardo ai segni di devozione che portate. Segni che non attirano l’attenzione su di voi, ma al Signore, a Maria, ai santi; non a chi porta la croce, ma a Chi, sulla croce, diventa principio di salvezza».
«Per questo mi rallegro, accogliendovi in Duomo, per celebrare questa Messa in Rito ambrosiano, per sentire una fraternità che si allarga a tutte le regioni di Italia. Continuate a portare l’abito, non per esibire una vostra particolare gloria, ma piuttosto per irradiare gioia e dare esempio di devozione, per invitare tutti a camminare verso il Signore. Per non finire in un folclore solo esteriore, siamo qui per seminare fraternità, per annunciare una festa, per dire a tutti che camminiamo insieme verso la festa di Dio».
Un invito, quindi, all’evangelizzazione attraverso la gioia che torna nelle parole conclusive di monsignor Parmeggiani: «Proseguiamo a camminare per portare speranza, fiducia, un riflesso dell’amore di Dio in questo mondo malato, forse, ma ricco di potenzialità».
E, dopo un breve intervento del rappresentante dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina (nella città che, l’anno prossimo, sarà capitale europea della cultura si terrà il prossimo Cammino di Fraternità), sotto un sole radioso, la processione dal Duomo alla Rettoria San Raffaele, chiusa dalla grande cassa processionale di Sant’Ambrogio di Voltri, la più antica della Liguria (1585), portata a braccia da confratelli in abito da marinai. Ma davvero belli sono tutti gli emblemi della tradizione, tra cui spiccano, come sempre, quelli delle Confraternite liguri e i loro crocifissi processionali di dimensioni monumentali, quelli del Lazio e i crocifissi fioriti, i pugliesi con i grandi stendardi.