Dal 14 al 18 ottobre 41 studenti di terza, quarta e quinta teologia verranno accolti in famiglie del Decanato di Lecco e porteranno la loro testimonianza in incontri e momenti di preghiera con le varie comunità

di Ylenia Spinelli

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Una panoramica di Lecco

Dal 14 al 18 ottobre i seminaristi di terza, quarta e quinta teologia lasceranno la comunità di Venegono per portare la loro testimonianza tra la gente della città di Lecco, in occasione della “Missione vocazionale”. In particolare, in questi cinque giorni, ricchi di incontri e momenti di preghiera (vedi qui la locandina con il programma), i 41 seminaristi verranno accolti in altrettante famiglie degli otto poli pastorali del Decanato di Lecco, come ci spiega don Fabio Molon, vicerettore del Quadriennio teologico.

Quale lo scopo di questa storica iniziativa del Seminario?
Anzitutto quello della testimonianza. I seminaristi raccontano la loro vocazione, l’esperienza che hanno fatto di Dio, pregano e invitano i giovani a pregare per la loro vocazione. Così la testimonianza diventa una provocazione, per coloro che incontrano i seminaristi, a prendere sul serio le domande e le inquietudini che hanno nel cuore e a dare un nome a quelle sensazioni ancora incerte e confuse che possono essere i primi indizi di un’intuizione vocazionale più seria.

Quanto la Missione può arricchire i futuri preti e cosa invece può donare alle famiglie e all’intero territorio?
L’esperienza della Missione vocazionale è un momento forte all’interno dell’anno seminaristico; in pochi giorni si incontrano tante persone di età diverse e con tutte bisogna esporsi con un annuncio esplicito di fede, raccontando di sé e confrontandosi su tematiche anche delicate. È una sfida per ogni seminarista che si trova in contesti nuovi, con persone sconosciute, ma è anche l’occasione per mettersi alla prova: con poche parole bisogna comunicare ciò che di più prezioso si vive, ovvero la fede e la vocazione. Le famiglie che accolgono solitamente vengono travolte dall’entusiasmo di questi giovani seminaristi, che portano freschezza nell’annuncio della fede e passione nella testimonianza. Alcune amicizie nate durante la Missione vocazionale durano anche per anni. Il territorio ecclesiale e cittadino si lascia provocare nei giorni della missione, ma i frutti sono più timidi. Resta comunque un seme gettato su terreni diversi che maturerà a suo tempo. È capitato infatti che qualche giovane, rileggendo la propria vicenda vocazionale, abbia riconosciuto nella Missione vocazionale e nell’incontro con qualche seminarista una sorta di svolta o di sblocco nel suo percorso di fede, che abbia rafforzato l’intuizione che già aveva nel cuore.

Oggi più di ieri per la Chiesa è necessario andare incontro ai giovani là dove vivono?
Le convocazioni ormai funzionano poco e i nostri eventi non sono abbastanza affascinanti da interessare chi è più “lontano”. I giovani si incontrano là dove sono: chi fa un percorso di fede in oratorio è bene incontrarlo nel luogo e nell’orario in cui solitamente ha la catechesi, che è già il risultato dell’incastro tra scuola, sport, amici e impegni vari. Gli altri giovani vanno intercettati nei loro ambienti: è sempre vincente il confronto che i seminaristi hanno nelle scuole, soprattutto superiori, come pure i più timidi incontri con le società sportive o quelli più fugaci e informali nelle piazze.

Tutti dobbiamo essere «Pronti a servire», come recita il titolo della Missione vocazionale?
Papa Francesco e l’Arcivescovo non si stancano di ripeterlo: ogni vita umana è una vocazione, è risposta a una chiamata che ci interpella e ogni uomo e ogni donna risponde a questa chiamata raccogliendo l’invito a una missione. Il servizio è la modalità concreta con cui si vive quella missione che è frutto della vocazione. È la guarigione dall’egoismo sterile, per una vita feconda e per questo realizzata.

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