Redazione
La mattinata di giovedì 24 si è conclusa con una messa nella Basilica di San Vittore, presieduta dal Cardinale Severino Poletto.. Nella sua omelia, l’Arcivescovo di Torino ha affermato che questa settimana liturgica è la logica preparazione al convegno ecclesiale di Verona. Ha poi commentato il celebre brano dell’Apocalisse in cui è descritta la Gerusalemme celeste
di Francesco Chiavarini
Il cristianesimo non è un insieme di divieti, ma l’annuncio di una grande speranza. Un messaggio positivo, una strada della bellezza. Che occorre sapere comunicare agli uomini, tutti gli uomini, i non credenti e i non praticanti, sia attraverso la testimonianza sia attraverso una liturgia capace di svelare il mistero, non di sovrapporsi ad esso.
Tocca tante questioni capitali l’arcivescovo di Torino, il cardinale Severino Poletto, nella sua omelia, durante l’ultima Eucaristia varesina della Settimana Liturgica. Il punto di inizio è una domanda cruciale: che idea hanno della Chiesa i non praticanti e i non credenti? I cristiani sono “sale della terra, luce del mondo”, oppure la loro vita “a null’altro serve che ad essere gettata via”?
Interrogativi di fondamentale importanza che rinviano all’attualità del messaggio cristiano per l’uomo contemporaneo, il valore della spiritualità nella società secolarizzata. La risposta prende forma lucidamente attraverso un confronto serrato con le Scritture.
Se la Chiesa, cioè il popolo dei fedeli e le gerarchie ecclesiastiche, è la “fidanzata dell’Agnello”, non può che «essere bella così da attirare gli sguardi di tutta l’umanità », osserva Poletto. Ma «in che modo la Chiesa si deve presentare al mondo per metterlo in comunione con il Signore?», si domanda l’Arcivescovo di Torino.
L’immagine che utilizza Poletto è quella della città santa, la Gerusalemme celeste, scesa dal cielo, di cui parla l’Apocalisse di Giovanni: una città cinta da un grande muro, ma con 12 porte aperte alle 12 tribù di Israele, illuminata dalla luce della verità e della vita.
«La Chiesa è dunque nel mondo ma è separata da esso perché non ragiona secondo i principi del mondo», commenta Poletto. Ma è anche spalancata all’umanità chiamata a entrare nella città nella quale risplende la verità della vita. L’evangelizzazione, tuttavia, osserva l’Arcivescovo, deve avvenire «attraverso quello stile positivo così fortemente sottolineato dal Papa».
Citando la recente intervista di Benedetto XVI alla televisione tedesca, il Cardinale sottolinea che «il cristianesimo non è un cumulo di proibizioni, ma un’opzione positiva». Un’opzione, aggiunge il Cardinale, bella, perché «il cristianesimo è filocalia, amore della bellezza, strada della bellezza, o non è».
«Credere è oggi diventato più difficile – ammette l’Arcivescovo –. Ma nonostante tutto credere è bello, perché non solo porta l’uomo nel cono d’ombra dell’amore di Dio, ma lo aiuta a realizzare in pienezza la propria umanità».
A questo punto il discorso si sposta sull’annuncio, sul ruolo della Chiesa-istituzione e quindi sulla liturgia, le forme attraverso le quali si comunica il messaggio evangelico, tema centrale del convegno liturgico varesino. «La Chiesa, che siamo tutti noi, deve sentire sulle spalle la responsabilità di essere mediatrice tra il Signore Gesù e gli uomini di ogni tempo: essa si deve preoccupare non di affermare se stessa quanto di essere capace di orientare l’umanità su Gesù Cristo, unico Salvatore».
L’immagine che rievoca Poletto è quella già usata una volta dal cardinale Etchegaray: «Dobbiamo sentire la necessità di ridurre l’istituzione- Chiesa allo spessore di un dito: quello di Giovanni Battista, il Precursore, che non cessa mai di indicare come presente nel mondo il Salvatore Gesù».
Ed ecco così che si giunge al tema centrale della Settimana Liturgica. «Le nostre Eucaristie dovrebbero essere uno svelare il mistero di Cristo, che si fa presente per parlare, perdonare, sostenere, in una parola per salvare ogni persona che con cuore sincero si rivolge a lui». Occorre, spiega Poletto, citando ancora il Pontefice, tornare a bere direttamente alla fonte, non accontentarsi di un «prodotto già imbottigliato».
Al fondo, insomma, l’unico vero compito del cristiano è «l’obbedienza quotidiana alla Parola del Signore». In questo – dice concludendo il Cardinale – «sta il segreto per accogliere in noi e portare agli altri il dono prezioso della speranza cristiana».