Il cardinale Tettamanzi anticipa i temi al centro dell’impegno della diocesi nel prossimo anno pastorale: «Il motivo ispiratore è nell’Anno sacerdotale che il Papa ha proposto a tutta la Chiesa. Il sacerdozio battesimale è il fondamento comune nella vita di tutti i cristiani. Vorrei rilanciare con forza il termine “vocazione” per la quale siamo tutti chiamati a pregaree ribadire l'appello a una vita più sobria»
Davide MILANI
Cardinale Tettamanzi, sta per iniziare un nuovo anno pastorale: quale intuizione lo guiderà?
Sarà un anno pastorale che trova il suo motivo ispiratore nell’Anno sacerdotale che il Papa ha proposto a tutta la Chiesa. Una proposta, questa, che, come ambrosiani, ci vede particolarmente sensibili. Infatti, uno degli ultimi e più rilevanti avvenimenti dell’anno pastorale appena concluso è stata l’Assemblea sinodale del clero di Milano, un percorso giunto al suo vertice con la celebrazione del 20 maggio in Duomo. Questo momento di dialogo e di confronto mi ha permesso, insieme ai più diretti collaboratori, di mettermi ancora una volta in ascolto dei preti, dei loro problemi, delle loro difficoltà, ma anche di apprezzare la loro grande generosità e il loro impegno per annunciare il Vangelo di Gesù e per servire il popolo di Dio. Segno visibile del percorso compiuto è il testo La Chiesa di Antiochia, “regola pastorale” della Chiesa di Milano, che raccoglie la riflessione rivolta ai sacerdoti al termine dell’Assemblea sinodale: un rilancio, più che una conclusione. Una riflessione preziosa che vuole aiutare me, il presbiterio e il popolo di Dio a metterci tutti quanti in ascolto di ciò che lo Spirito vuole dirci in questa stagione della vita della nostra Chiesa e che, quindi, costituisce una “porta” per accedere al cammino del prossimo anno pastorale.
Il Percorso pastorale per il nuovo anno si pone, quindi, in continuità con l’anno appena chiuso…
Ancor più che in continuità, perché il nuovo anno pastorale è addirittura già iniziato. Faccio risalire il suo avvio al 14 luglio. In un luogo preciso: ad Ars, nella chiesa parrocchiale, dove ha operato il Santo “curato” Giovanni Maria Vianney. Con un centinaio di pellegrini celebravo l’Eucaristia e pensavo: «È proprio questo l’ingresso nel nuovo anno pastorale». Erano con me confratelli preti, persone di vita consacrata, famiglie, fedeli laici: in loro sentivo presente la nostra Chiesa ambrosiana.
Il legame con la famiglia
Oltre all’Assemblea sinodale del clero, l’ultimo anno – addirittura l’ultimo triennio – ha messo al centro il tema della famiglia. Quale continuità con l’Anno sacerdotale? Si tratta di vocazioni profondamente differenti…
Torno ancora al pellegrinaggio in Francia da poco concluso. La giornata di Ars era stata preceduta dalla visita ad Alençon, la città nella quale vivevano i coniugi Louis e Zélie Martin, genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino, recentemente beatificati, e dalla solenne giornata a Lisieux, dove, nella grande basilica, ho celebrato la prima ricorrenza liturgica in onore dei due sposi santi. A Lisieux, inoltre, ho potuto visitare il Carmelo, dove ha vissuto Santa Teresa. E, al termine di questi incontri spirituali, mi sono chiesto: «Se non ci fossero stati questi due coniugi beati, la Chiesa avrebbe avuto la testimonianza e l’esempio di Santa Teresa?». Importantissima è la vocazione del sacerdote: Gesù l’ha costituito ministro dell’Eucaristia (ricordo il grido di Santa Teresa: «Potessi essere per un solo giorno prete, per poter celebrare almeno una volta l’Eucaristia!»), ministro della riconciliazione, presidente e servo della comunità cristiana. Ma il dono primo e più grande che il Signore ha fatto all’umanità è il sacerdozio battesimale, il sacerdozio dell’intero popolo di Dio, un sacerdozio che è il segreto, il fondamento, l’anima, lo stile di vita di ogni cristiano.
L’importanza della vocazione
Un dono che tra i fedeli non è conosciuto. Come fare per risvegliare questa coscienza nei laici?
Vorrei che questo fosse il primo impegno del nuovo anno: i preti, anzitutto e proprio per vivere il loro sacerdozio “ministeriale”, siano appassionati nel far riscoprire a tutti i fedeli la straordinaria grazia che abbiamo ricevuto, la fortuna immensa che ci è dato di sperimentare ogni giorno. Siamo tutti “sacerdoti”, chiamati a offrire il sacrificio della nostra vita quotidiana come espressione di amore per Dio e per i fratelli. Con un’attenzione costante che ci deve affascinare e inquietare per il prossimo anno: la comune tensione verso la santità, la perfezione dell’amore di cui devono vibrare sia il sacerdozio ordinato sia quello battesimale. Lo scopo che Papa Benedetto ha voluto assegnare ai preti per l’Anno sacerdotale è il rinnovamento interiore, il cammino di perfezione che conduce alla santità. Questa meta è la fondamentale e comune vocazione di tutti i cristiani. Come non ricordare l’appello giubilare di Giovanni Paolo II: «È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria» (Novo millennio ineunte, 31)?
Quanto mai appropriato parlare di vocazione in un anno caratterizzato dal tema del sacerdozio…
Vorrei proprio rilanciare con forza il termine “vocazione”. Anzitutto perché di fronte alla scarsità delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata siamo chiamati ad assicurare a queste vocazioni la nostra preghiera corale, convinta e costante, umile e generosa. Chiedo, inoltre, un impegno educativo rinnovato e fiducioso nei confronti dei ragazzi e dei giovani. Non dobbiamo aver timore nel proporre un impegno che non teme affatto di proporre il valore essenziale della vocazione. In questo nuovo anno pastorale, così legato all’Anno sacerdotale, dovremo saper mostrare – e testimoniare – nelle nostre comunità quanto sia bella la vita: una bellezza che si sperimenta non seguendo semplicemente la “chiamata” dei propri piccoli desideri, ma aprendosi e affidandosi alla grande “Chiamata” di Dio e del suo progetto d’amore. La libertà, così, non è persa, ma è affermata ed esaltata. La sua “verità” consiste nella capacità di rispondere con il nostro “sì” a Dio che chiama e manda. Ciò è possibile, è bello, è fonte di gioia, è segno di serietà: introduce in una vita piena di senso!
La scelta della sobrietà
Nello scorso anno pastorale grande attenzione – anche dal mondo laico – alla sua scelta di istituire il Fondo Famiglia-Lavoro a beneficio delle persone colpite dalla crisi economica. Continuerà questo impegno?
Certamente. La soluzione della crisi economica – a detta degli esperti – appare ancora molto lontana. E le persone in difficoltà sono sempre in aumento. Gli oltre 5 milioni di euro raccolti dal Fondo sono ormai quasi tutti distribuiti ai bisognosi. Occorre quindi fare ancora, fare di più. Ma non vorrei ci si limitasse solo alla dimensione del fare. Spiegando le motivazioni di questa iniziativa parlavo della necessità di intraprendere con decisione la via della sobrietà. Una sobrietà che è necessaria non solo a proposito delle cose, ma in tutte le scelte: anche nelle scelte pastorali. E qui si apre un capitolo complesso, ma necessario, sia per i sacerdoti sia per i fedeli impegnati nelle più varie attività pastorali. Dobbiamo puntare più alla dimensione dell’essere che a quella del fare. Dobbiamo anzitutto riscoprire la singolare grazia del sacerdozio comune, per vivere, nonostante le fatiche, a grande gioia che proviene dal donare ogni giorno la vita a servizio dei fratelli. Per impostare bene il nuovo anno pastorale, per dare realmente spazio a questa dimensione fondante e qualificante la vita cristiana, occorrono coraggiose scelte di sobrietà. Non preoccupiamoci di fare tutto, anche nell’impegno sacerdotale e pastorale, ma puntiamo all’essenziale: «Di una cosa sola c’è bisogno» (Luca 10, 42). Possiamo essere “strumenti” di salvezza, non “salvatori”!
I “cantieri” aperti
E circa i cosiddetti “cantieri” aperti, come l’Iniziazione cristiana e le Comunità pastorali, quale influsso può avere l’Anno sacerdotale?
Un influsso decisivo, se si pensa che la pastorale dell’Iniziazione cristiana è destinata a far sperimentare la bellezza e la forza del sacerdozio battesimale nel cammino di educazione alla fede, come graduale incontro con Dio nella preghiera e nei sacramenti e come inserimento attivo nella vita e nell’avventura missionaria del popolo di Dio. Il sorgere poi e il crescere delle Comunità pastorali possono trovare una migliore comprensione e una più serena e coraggiosa realizzazione grazie al rapporto di collaborazione e di corresponsabilità tra preti e fedeli laici in forza dell’intimo legame tra il sacerdozio ministeriale e quello battesimale: una comune grazia e una comune responsabilità al servizio del Vangelo oggi.