Le parole del Papa nella celebrazione in Piazza San Pietro che ha concluso l'anno dedicato ai presbiteri, caratterizzato da momenti di dura prova, ma da considerare come periodo di purificazione
I preti ambrosiani, ma anche i vescovi ausiliari e i vicari episcopali arrivano insieme in pullman, con largo anticipo: hanno appena finito di recitare e cantare le Lodi secondo il nostro rito, sono stati salutati dal cardinale Tettamanzi e sono pronti, con i camici e le stole, a concelebrare la messa solenne nella quale, di lì a poco, il Papa parlerà della bellezza e della grandezza “alta” del ministero, ma anche del coraggio di rispondere ogni giorno, nelle tante difficoltà della vita, al Signore. Benedetto XVI – affiancato da Cardinali e vescovi di ogni parte del globo – nella solennità del Sacro Cuore, giorno nel quale si conclude l’Anno Sacerdotale, ritrova in una piazza inondata dal sole e animata da oltre 15 mila preti (alla fine saranno oltre 20 mila), il “suo” clero che definisce «gli operai per la messe di Dio». E subito chiarisce: «Il sacerdozio non è “ufficio”, ma sacramento. Era da aspettarsi che al “nemico” questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto. Avrebbe preferito vederlo scomparire. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti». Da qui l’idea, e la piazza “risponde” con un applauso che interrompe l’omelia, che l’Anno Sacerdotale sia stato anno di grazia proprio come prova e capacità di ripartire con nuova forza nella missione pastorale. «Consideriamo quanto è avvenuto compito di purificazione, che ci accompagna verso il futuro», aggiunge. E ancora, pensando probabilmente ai più giovani, l’invito è a «non sperperare la vita nella mancanza di senso». E allora sono proprio alcuni seminaristi che, incontratisi per caso nella grande festa dopo la celebrazione (tra loro i nostri ragazzi della IV e V Teologia), che spiegano con parole che sono un raggio di speranza il desiderio «di accettare la sfida di dire “sì, lo voglio, sì lo prometto”», di essere sotto il vincastro del Pastore di tutti «uomini del nostro tempo assetati e in ricerca», per usare ancora l’espressione con cui aveva chiuso la sua riflessione Papa Ratzinger: di una ricerca che abbia un significato vero, autenticamente cristiano.