Illustrata in un incontro promosso da Acli e Caritas. È stata anche l’occasione per fare il punto sulla situazione a Milano, tra sgomberi e propositi di integrazione
Oggi pomeriggio, presso la sede delle Acli Milanesi (via della Signora, 3 – Milano), si è svolto un incontro promosso da Caritas Ambrosiana e Acli Milanesi sul tema “La situazione giuridica dei rom. Il buco nero del diritto e la proposta di legge di riforma”. Ha coordinato Anna Busnelli, delle Acli Milanesi, e sono intervenuti Sabrina Ignazi, di Caritas Ambrosiana, e Paolo Bonetti, costituzionalista dell’Università di Milano Bicocca. È poi seguito un dibattito.
Chi sono i rom, quali le caratteristiche dei gruppi nel panorama milanese: questa è la traccia seguita nella prima relazione tenuta da Ignazi.
I primi rom arrivati a Milano tra gli anni ’60 e ’80 erano italiani o di origine balcanica; negli anni ’90 c’è stato un nuovo arrivo di rom dai Balcani per effetto dei confitti in ex Jugoslavia (in alcuni casi con un permesso di protezione umanitaria). Più recentemente si è registrato invece un arrivo di rom dalla Romania.
Ai rom italiani attualmente sono destinati 6 campi regolari, aperti a partire dagli anni ’80: Idro, Bonfadini, Chiesa Rossa, Impastato, Negrotto, Martirano. Ospitano complessivamente circa 800 persone. Mentre erano destinati a romeni e a kosovari e macedoni i campi di via Triboniano e via Novara, aperti all’inizio degli anni 2000 ma chiusi rispettivamente nel 2011 e nel 2014 con il tentativo non molto riuscito di percorsi di accompagnamento ad appartamenti.
Per quanto riguarda l’attenzione ai campi irregolari, da anni alcune associazioni milanesi hanno presenze varie sul territorio e dall’inizio del 2014 anche la Caritas si è dotata di un’unità mobile di campo per il contatto dei rom che vivono in insediamenti irregolari su Milano e hinterland. I gruppi incontrati sono molto diversi per dimensioni, provenienza geografica (prevalentemente romeni, ma anche italiani e bosniaci di meno recente immigrazione, mai regolarizzati e di fatto apolidi così come i loro figli e i loro nipoti), propensione a restare in Italia o un più o meno marcato pendolarismo con la Romania, per i romeni. La loro situazione è profondamente condizionata dalla precarietà e dalla conseguente difficoltà a radicarsi su un territorio, con ricadute negative sulla continuità nella frequenza scolastica dei minori.
«Nonostante i cambiamenti introdotti da questa Amministrazione – ha sottolineato Sabrina Ignazi – gli sgomberi rappresentano un elemento di continuità con la precedente. Basti pensare che gli sgomberi sono stati 108 nel 2013 e 280 nel 2014; hanno interessato gli stessi gruppi rom, costretti a spostarsi da una zona all’altra in una sorta di “nomadismo forzato”. Rispetto ai contatti con l’équipe dell’unità mobile – ha continuato -, i rom dimostrano spesso una buona risposta alla relazione; l’accoglienza degli operatori è generalmente buona, tranne che in alcune eccezioni, e spesso vengono presentate delle esigenze molto concrete legate principalmente alla salute. Il bisogno di regolarizzarsi, per quanto possibile, è molto sentito».
Ignazi ha spiegato che il Comune di Milano, attraverso delle linee guida che sta implementando da circa quattro anni a questa parte, punta alla chiusura dei campi comunali, in un percorso di progressivo inserimento alloggiativo diverso. «Questo percorso, per quanto condivisibile in linea di principio – ha commentato Ignazi -, è molto impegnativo e mette in discussione un’abitudine di vita consolidata e trasmessa di generazione in generazione. I campi però rappresentano spesso uno strumento di segregazione e nel tempo la loro posizione isolata alimenta diffidenze reciproche tra rom e il resto della cittadinanza, finendo per diventare dei veri e propri ghetti e luoghi in cui rischia di annidarsi la microcriminalità».
La partecipazione dei rom alla vita collettiva con il proprio contributo umano e culturale è fondamentale per superare l’esclusione, la marginalizzazione di un popolo che ha attraversato secoli di discriminazione fino allo sterminio razziale e che non deve rimanere confinato nei ghetti fisici e morali, nei quali troppo spesso viene relegato destinandolo all’assistenza e non alla propria responsabilità. Parte da questa considerazione la proposta di legge d’iniziativa popolare per il riconoscimento dello status di minoranze a rom e sinti, illustrata nell’incontro di oggi alle Acli da Paolo Bonetti. Circola già un appello in rete (http://lexsintirom.blogspot.it/) e l’8 aprile scorso a Isernia, in occasione della “Giornata internazionale del popolo rom e sinti”, si è tenuta la presentazione della campagna “Se mi riconosci mi rispetti”. Nello stesso giorno, in tutta Italia e anche a Milano, si erano aperti i banchetti per raccogliere le 50.000 firme necessarie per portare in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare, che vuole realizzare gli articoli 3 e 6 della Costituzione che prevedono la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di etnia, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Nello stesso tempo, oltre a tutelare tutte le minoranze storico-linguistiche con apposite norme, si intende contrastare discriminazione e pregiudizio nei confronti della minoranza rom, che sono causa della scarsa integrazione nella società e soprattutto della marginalizzazione sociale ed economica.