Presiedendo in Cattedrale la Celebrazione Eucaristica nella sesta e ultima Domenica dell’Avvento ambrosiano, il Cardinale ha evidenziato la forza del “sì” di Maria, segno di libera accettazione del disegno di Dio
di Annamaria BRACCINI
La domenica dell’Incarnazione che, con lo sguardo già rivolto al Natale imminente, chiede «di contemplare stupiti il fatto più grande della storia, da cui è venuta per tutti gli uomini la possibilità della salvezza: per tutti, anche per noi dopo duemila anni». È la sesta, e ultima, domenica dell’Avvento ambrosiano, quella, appunto della Divina Maternità di Maria o dell’Incarnazione e in Duomo, il Cardinale presiede la Celebrazione eucaristica, nella quale l’intera liturgia sottolinea il farsi uomo del Figlio di Dio. Tanto che, il rito ambrosiano invita i fedeli, straordinariamente, a inginocchiarsi quando, nel Credo, si proclama: “Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. Lo ricorda l’Arcivescovo, richiamando la “carne” che è il cardine della salvezza, in un senso, come è ovvio, molto diverso da quelle «derive salutistiche in cui, oggi, tutti rischiamo di cadere».
«L’incarnazione del Figlio di Dio, dell’essere il Dio con noi è espressione di una speciale cura per ogni uomo e ogni donna. Ecco perché la Chiesa ha sempre educato i suoi figli a praticare tutte le opere di misericordia. In questo anno giubilare vogliamo riprendere con vigore questa usanza, perché mostra che la vita cristiana non è fatta tanto di iniziative, ma di noi che ci giochiamo in prima persona, facendo risuonare il significato del Dio bambino e comunicandolo agli altri attraverso le opere di condivisione». Basti pensare a esempi di «potente testimonianza», come Madre Teresa che, è stato annunciato, sarà presto canonizzata. «In questo modo il Dio-con-noi strappa circostanze e rapporti, nei quali siamo immersi in tutti gli istanti, alla loro intrinseca precarietà e, nel Suo amore, li custodisce “per sempre” in tutto il loro valore. Man mano che passano gli anni e ci prepariamo a passare tra le braccia del Padre, dobbiamo imparare a guardare indietro, a tutti i doni che la misericordia di Dio ha permesso, riconoscendo nella dimensione propria del dono, ciò che ci qualifica come uomini».
Il riferimento non può che essere al Vangelo di Luca, in cui si nota «la straordinaria gratuità» dell’Annunciazione a Maria, una giovanissima donna, di umile stirpe. «Dio sceglie la via dell’umiltà e noi ambrosiani sappiamo bene come l’humilitas sia radicata nella nostra storia, nell’indicare lo stare “aderenti alla terra”, non ergendosi con orgoglio a protagonisti unici della nostra esistenza».
Come la forza della ragione e del cuore di Maria è chiamato ad “allargarsi” con docilità così, infatti, deve essere per noi: «Le parole con cui la Vergine esprime il suo “sì” segnalano il consenso a ciò che ella, da buona ragazza ebrea osservante, desiderava con tutto il cuore: la venuta del Messia, come noi aspettiamo con ansia la venuta di Gesù. Maria esprime così l’atteggiamento di chi accoglie un compito, dimostrando, al contempo, la sua capacità critica, vagliando con cura ogni cosa, lasciandosi commuovere da ciò che accade e domandando la ragione degli avvenimenti, avendo riconosciuto che si tratta di collaborare alla realizzazione del disegno di Dio che nella libertà ci coinvolge».
Chiara la scelta che, suggerisce l’Arcivescovo, deve ispirare anche la vita odierna. «L’apertura della ragione, che non si richiude su di sé, che è radicata nell’esperienza potente della vita, e la capacità di incontrare l’altro nella libertà, non sono forse due virtù di cui hanno più bisogno, nell’attuale frangente storico, le nostre società del nord del pianeta tanto provate?».
E il pensiero va a coloro che, uomini delle religioni e cristiani del Medio Oriente, stanno subendo il martirio del sangue e hanno perso tutto. «Non possiamo negare che spesso viviamo chiusi nei nostri limiti, interessi e paure, dando poco spazio all’altro. Rischiamo chiusure, di ridurre la realtà alla nostra piccola misura e cadiamo nell’aridità».
Da qui, sempre nella logica della triplice venuta del Signore – quella della memoria dell’Incarnazione nel santo Natale, dell’Eucaristia e quella finale, che compirà la storia dell’umanità – l’auspicio che viene dal Cardinale attraverso le famose espressioni del profeta Isaia. Il “popolo santo”, «che siamo noi», i “redenti del Signore”, sempre noi, «riscattati dal peccato e liberati dal terrore della morte», i cercati da Dio, noi “città non abbandonata”.
«La nostra Milano e tutte le altre realtà del mondo, piccoli paesi e grandissime metropoli, siamo città non abbandonate. Ecco perché dobbiamo avere energia condividere con i poveri e gli estremamente poveri, che numerosissimi dormono nelle strade. Si calcola che nella nostra Milano siano circa cinquemila, mentre, i posti, per l’arrivo del freddo, oscillano tra i millequattrocento e i millesettecento. Il frutto della venuta in mezzo a noi del Salvatore sia l’essere ricostituiti nella verità della relazione con Lui, con gli altri, con noi stessi e con tutto il creato. Questa verità della relazione rinnovata diventa, così, sorgente radice di comunione ecclesiale e di edificazione di quella amicizia civica, di cui tanto abbiamo bisogno in una società in cui ci sono posizioni differenti sul senso delle cose e della vita, ma dove siamo chiamati a vivere insieme».
E, infine, l’invito è, con l’Epistola di san Paolo, a essere lieti, anche se, oggi, «ciò non è immediato e, anzi, l’uomo che si affida solo a se stesso non riesce a trovare la strada di una letizia stabile, specie quando sopraggiunge il dolore. Invece, per il dono ormai imminente del Natale di Gesù, possiamo finalmente sperimentare la letizia, la pace e una capacità di apertura a tutti».
E, alla fine, il richiamo è all’Anno Santo della Misericordia perché «rappresenti un’occasione privilegiata vivere tale letizia che viene dal perdono, comunicandola a tutti».
«Intensifichiamo la nostra domanda pieni di consolazione per quello che il Vangelo ci ha detto: nulla è impossibile a Dio, qualsiasi sia la nostra prova o conflitto, personale o sociale», spiega il Cardinale ringraziando i movimenti e Associazioni presenti, gli Scouts dell’Agesci, l’“Apostolato della Preghiera”, le Acli, la “Comunità di Vita Cristiana” e le Équipes Notre Dame, l’Associazione “Sposi in Cristo”.