Anche durante la guerra emerse la capacità di don Ciceri - prossimo alla beatificazione - a farsi vicino materialmente e spiritualmente alle persone che gli stavano a cuore. Fino alla morte tragica e improvvisa

di Cristiano PASSONI

Don Mario Ciceri
Don Mario Ciceri

La premura di don Mario Ciceri, durante la guerra, fu quella di tenere uniti i legami tra i suoi ragazzi al fronte. Per questo era nata l’iniziativa di Voce amica, il bollettino di collegamento da lui voluto e diretto. Ci sono, però anche delle lettere personali nelle quali emerge il legame e la consegna dell’essenziale. Anche in queste testimonianze appare il tratto feriale di don Mario, la sua santità “della porta accanto”, come ci ha indicato papa Francesco, «di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio».

Parole di conforto

Nel luglio del 1941 Luigi Colnaghi, segretario parrocchiale dell’Azione Cattolica e braccio destro per la cura della pastorale giovanile, scriveva a don Mario una lettera intensa, dopo un mese di servizio militare. «Quanta commozione si sente pensando silenziosamente alla vita di apostolato passata, e quanto dolore si prova vedendo che non si è fatto nulla di quello che si poteva fare. Comprendo che l’Associazione, come la famiglia, erano tutto per me: ed ora lontano sento un senso di vuoto». C’è qualcosa che manca nello smarrimento del servizio militare, unito al riconoscimento di ciò che ha segnato indelebilmente la vita. A ciò si aggiunge il desiderio di fare qualcosa, ma insieme la fatica ad immaginarlo, come spesso capita, nella nuova condizione: «Ho tanto desiderato di prestar servizio in una città dove vi fosse il convegno militare, per poter esplicare la mia attività di giovane di Ac: ed invece mi trovo qui a Vipiteno, dove non c’è nulla ed è impossibile anche fare qualcosa». Non solo a Luigi pesa la novità di vita, ma anche l’impotenza di fare qualcosa che possa fare bene. Il 22 agosto don Mario risponde: «Scaccia la melanconia pensando che si fa la volontà di Dio e quindi…in vera letizia si deve stare. Ciò che non piace a noi, 99 su 100 piace a Dio e tanto basta». Affascina questo rinvio all’essenziale, poco volontaristico e molto concreto. La novità dei frangenti di vita e il senso di impotenza che talora li abitano si attraversano scacciando la melanconia e pensando di fare la volontà di Dio, dove si è, senza perdersi in un altrove immaginario.

L’incidente

La sera del 9 febbraio 1945 don Mario torna con la sua bicicletta da Verderio dopo una giornata di confessioni. La strada è buia e scivolosa per la neve, oltre che deserta. Viene investito da un carretto di passaggio. Chi è alla guida non se ne accorge. Forse la neve ne aveva attutito i rumori del passaggio. Dopo lo scontro, però, il carrettiere non si ferma e tira dritto per la sua strada, chissà perché, senza pensarci troppo. Di fatto, don Mario rimane a terra, ferito per qualche tempo. Finalmente viene condotto all’ospedale di Vimercate, che conosceva bene per le frequenti visite ai malati. Iniziano giorni di sofferenza e di speranza. La gente si mobilita per sostenerlo da vicino e da lontano. All’inizio sembra farcela, ma dopo quasi due mesi, il 4 aprile don Mario muore. Nel discorso funebre tenuto da Franco Crippa, presidente giovani di Ac, il 7 aprile ricorda la sua carità spirituale e materiale. «Non tutti forse ne conoscevano la carità materiale, quella carità che ristora la fame, che riveste la nudità del corpo, che risana le ferite, guarisce le malattie. Carità nascosta, della quale don Mario non parlava mai con nessuno, nemmeno con i confidenti più cari, ma che si conosce egualmente dalle parole dei beneficati».

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