Alla celebrazione in Duomo presenti tra i fedeli oltre 300 coscritti di monsignor Delpini, provenienti da tutta la Diocesi e da altrove: «Coltiviamo tutti la politica della speranza»

di Annamaria Braccini

avvento 2021 (4)

Una celebrazione «che non è solo un momento di preghiera e di intensa fede» che si fa anche festa attorno all’Arcivescovo, nel giorno da lui scelto per ricordare il suo compleanno (i 70 anni sono stati compiuti il 29 luglio scorso) insieme ai suoi coetanei.

Ed è, infatti, anzitutto a loro – salutati tra le navate prima dell’inizio – che va il primo pensiero del vescovo Mario in apertura della Messa per la terza Domenica d’Avvento, concelebrata dal vicario generale, monsignor Franco Agnesi, dai Canonici del Duomo e da alcuni suoi compagni di Ordinazione sacerdotale. In prima fila, con la fascia del Primo cittadino, l’assessore alla Sicurezza del Comune di Milano, Marco Granelli, in rappresentanza del sindaco Beppe Sala.

«Siamo qui a ringraziare e a riflettere sul fatto di avere 70 anni. Questo è il nostro compleanno comune, l’occasione per sentirci legati dal dono della vita, dalle responsabilità che abbiamo, dalle esperienze vissute e dalla condizione in cui siamo. Viviamo il cammino verso il Natale per essere pietre vive di questa Chiesa che vogliamo costruire unita, libera e lieta», come donne e uomini che praticano quella «che si può chiamare la politica della speranza». Da testimoniare in una vicenda umana che «è una storia di libertà frutto della comunione» non fatta di solitudini e protagonismi, sottolinea l’Arcivescovo nell’omelia. 

L’omelia

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«La politica della speranza è opera di uomini che, accogliendo lo Spirito di Dio, edificano la città degli uomini secondo le intenzioni di bene di Dio», scandisce.

Chiarissimo il richiamo all’oggi, delineato attraverso il riferimento alle figure di Ciro – il re dei re-, tratto del Libro del profeta Isaia e di Giovanni il precursore, nella pagina del Vangelo di Luca 7.

«Ciro è uomo di epoche lontane, ma l’entusiasmo del profeta può proporlo come modello di chi pratica la politica della speranza, assumendo la responsabilità del governo e del potere». .

Ciro, infatti, è colui che decide che i Giudei hanno diritto ad abitare la loro terra e, quindi, «la politica della speranza ha come elemento decisivo la promozione della autodeterminazione di ogni popolo. La pace non dipende dall’imporre un potere tirannico che spegne ogni autonomia. La pace è invece costruita da un potere sovranazionale che promuove l’autonomia di ogni popolo».

E se «è difficile giudicare la storia umana, un’impressionante e tragica vicenda di guerre di conquista, di potere utilizzato per derubare, di forza utilizzata per opprimere con il nostro tempo che non è migliore di altri», comunque, lo Spirito di Dio «continua a suscitare uomini e donne che esercitino le loro responsabilità e il loro potere per la libertà e il benessere dei popoli».

Per questo «la comunità cristiana è chiamata a sostenere uomini e donne onesti, capaci, animati dal proposito di seminare speranza e di dare concreta attuazione a progetti di pace in questo nostro tempo. La comunità cristiana è chiamata a guardare oltre l’immediato e l’orizzonte ristretto del proprio interesse e delle proprie paure».

E così pure è per l’esempio di Giovanni, «che pratica la politica della speranza lontano dai palazzi del potere, contestando l’esercizio arbitrario, come se il potente fosse sottratto a ogni giudizio, come se il suo capriccio potesse essere legge indiscutibile, come se la contestazione del male compiuto fosse un attentato alle istituzioni. Giovanni pratica la politica della speranza perché invita a conversione, ritiene che il suo compito sia di contestare l’ingiustizia e la prevaricazione e di chiedere l’onestà e la giustizia».

Nasce da tale consapevolezza una consegna precisa «Noi tutti, secondo le nostre responsabilità, siamo chiamati a praticare la politica della speranza»

Anche perché «la tentazione di limitarci a opere buone, ma praticate nel privato, nell’ambito ristretto della comunità cristiana, l’imbarazzo di fronte a progetti politici rischia di rendere i cristiani insignificanti nella società».

Un impegno per il quale l’Arcivescovo si rivolge direttamente ai suoi coscritti. «La nostra generazione del ‘51 ha esercitato le proprie responsabilità negli anni della contestazione, gli anni del terrorismo, gli anni del divertimento e del benessere diffuso, gli anni della crisi economica e questi anni di pandemia. Alla nostra età non possiamo sottrarci alle responsabilità nel pensare, sostenere, operare la politica della speranza».

Dopo l’augurio affettuoso, espresso a nome di tutti dal Vicario generale, da parte del vescovo Mario giungono ancora parole di ringraziamento e l’invito, a ciascuno dei coetanei, a scrivere una frase sul tema “Parole al futuro” (si può anche inviare a comunicazione@diocesi.milano.it) e a contribuire al Fondo San Giuseppe «Noi abbiamo qualcosa da dire al futuro di questa città e dei nostri paesi. Festeggiamo i nostri 70 anni sentendone la bellezza, il peso e la responsabilità».

Infine, il momento conviviale vissuto tra i portici del cortile della Curia arcivescovile con il dono ai presenti di una pubblicazione contenente la Lettera paolina agli Efesini.

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