A Milano si è svolto il convegno “Causa della nostra gioia” promosso dal Servizio diocesano per la Pastorale della Salute e dedicato ai Ministri straordinari della comunione eucaristica. L’incontro è stato aperto dall’Arcivescovo
di Annamaria
BRACCINI
«Un incontro che riprende e conferma l’attenzione che la Diocesi rivolge ai Ministri straordinari della comunione eucaristica. Un motivo di gratitudine e un segno di speranza».
Sono questi i sentimenti cui dà voce l’Arcivescovo, aprendo il Convegno promosso – presso un’affollatissima Sala Pio XI della Casa cardinal Ildefonso Schuster – dal Servizio per la Pastorale della Salute, appunto, per i Ministri straordinari della comunione eucaristica e dedicato al tema “Causa della nostra gioia”. Un titolo volutamente allusivo al momento di ripartenza che stiamo vivendo e al delicato significato dell’importante Ministero svolto da chi porta l’Eucaristia alle persone in difficoltà, come spiega don Paolo Fontana, responsabile diocesano del Servizio.
Dall’espressione tratta dal secondo capitolo del Libro del profeta Zaccaria – “Gioisci ed esulta: io vengo ad abitare in mezzo a te” -, prende spunto l’intervento del vescovo Mario che sottolinea subito «la persuasione che la gioia sia un bene indisponibile, che noi non possiamo produrre, che non si compra e non si vende, che non può essere provocato attraverso strumenti artificiosi, come i momenti di euforia o di paura. La gioia è qualcosa di misterioso e di troppo intimamente custodito».
Al contrario, l’annuncio di Zaccaria al popolo di Israele, riguardante la fine dell’esilio, indica che c’è qualcosa che può dare gioia e che va oltre l’evento stesso della liberazione.
Infatti, osserva l’Arcivescovo, «la parola del profeta trova la sua conferma nel fatto che il Signore promette la sua presenza ed è questo è il vero motivo di gioia. Zaccaria annuncia la gioia perché Dio è in mezzo al suo popolo e il suo è un annuncio comunitario».
Il pensiero va a un oggi «nel quale la gioia della comunità è un capitolo trascurato perché vi è una tendenza all’individualismo dove la partecipazione è vissuta quasi come una pretesa o per ragioni utilitaristiche».
Da qui la domanda: «Chi si cura adesso della gioia della comunità e delle dinamiche comunitarie?». Immediata la risposta: «Questa è una responsabilità che riguarda tutti: dobbiamo essere portatori di questa gioia e testimoniarla».
Se a ciascuno viene, allora, chiesto «di contribuire al clima della comunità», come farlo?
Con tanti piccoli gesti – suggerisce il Vescovo – come l’uso di parole che realizzino una realtà costruttiva. «I Ministri sono come il profeta che viene mandato a dire, “Rallegrati, il Signore è con te”. Ma gente incline alla critica e al lamento continuo, a ridire sempre l’elenco delle cattive notizie o la parola corrosiva, come può offrire un annuncio di gioia?».
Insomma, un sorriso, una mano tesa, possono aiutare più di tanti discorsi, basti pensare a un piccolo esempio che l’Arcivescovo, non a caso, cita. «In tempi di Covid si è sviluppato un ruolo che non esisteva prima – i volontari dell’ accoglienza -, per controllare gli ingressi nelle chiese. È una potenzialità che si potrebbe sfruttare anche in futuro per dire: “Benvenuto, sei atteso, questa è casa tua”».
«Il vostro servizio di Ministri straordinari vi conduce a entrare nelle case di anziani e malati, portando un annuncio, tuttavia, singolo. Portate il Signore, testimoniando che, in ogni situazione, c’è una possibilità di amare se c’è Gesù. La gioia che noi annunciamo è la persuasione di essere amati che ci rende capaci di amare», conclude il vescovo Mario.
Poi, la riflessione di Luca Moscatelli, biblista e collaboratore del Servizio diocesano per la Catechesi, centrato su «Gesù esultò di gioia nello Spirito», con le parole del capitolo 10 del Vangelo di Luca.
«La gioia cristiana è una cosa seria, perché permette di affrontare le vicende della vita resistendo alle prove, compresa la tristezza patologica. Il caso serio della vita è proprio la sofferenza e noi non possiamo non sentirci interpellati. Credere che Dio è buono e che la vita è buona è la sfida. La sofferenza può essere il luogo dove sperimentare la gioia di Dio perché Lui soffre e cammina con noi», evidenzia Moscatelli, che prosegue. «La consolazione più profonda dovrebbe essere che Dio condivide tutto, anche gli aspetti più disperanti. Essere adulti vuol dire almeno tentare di abbandonare il pensiero magico per cui Dio, come scriveva Dietrich Bonhoeffer – il giovane teologo morto martire dei nazisti, il 9 aprile 1945 – , è una sorta di tappabuchi per le nostre falle. Questa è la superbia umana, mentre si tratta di sostenere donne e uomini che credono di essere stati abbandonati da Dio».
Infine, prima delle 4 testimonianze di altrettante Ministre straordinarie, la riflessione del vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan, con il titolo quadi provocatorio, “Portatori sani di gioia”: «un tema che cala immediatamente nella realtà», come scandisce.
La questione è come dare serenità ai malati e come «ci prepariamo perché lo Spirito lavori in noi, così che l’altra persona veda questo. La gioia è la conseguenza della capacità di visione. Nostro compito è aiutare a ridare colore, quando tutto sembra nero, costruendo una visione insieme con chi, magari, vede la morte».
Nel riferimento a Maria «causa della nostra letizia», come recitano le Litanie Lauretane, il richiamo è alla sofferenza, composta da tre elementi «quello fisico, che genera dolore psicosociale e, terzo, le grandi domande»
«Se un medico vuole curare davvero deve immaginare un approccio che tenga presente tutte le dimensioni, anche quella spirituale», nota, rivolgendosi direttamente ai presenti.
«Il vostro Ministero di attenzione ai malati fa parte della cura, non è un’aggiunta. Non sentitevi un superfluo, ma anzi responsabilizzati. Quello che oggi i medici stanno scoprendo, per accompagnare con la consapevolezza della dimensione trascendente, noi cristiani lo sappiamo da sempre. In un momento in cui la scienza offre molte possibilità, la fede ci chiede di assumerle con responsabilità». Esemplare, in questo senso, la Lettera pastorale del cardinale Carlo Maria Martini, “Farsi prossimo” e l’omonimo convegno con cui, 35 anni fa, si diede nuovo avvio alla Caritas ambrosiana. «”Farsi prossimo” è un testo che propone di leggere la parabola come un racconto su come dobbiamo cambiare lasciandoci interrogare e ponendoci le domande giuste. Come ci si prepara, quindi, a essere Ministri? Mostrando ai malati che siamo portatori di Gesù»..