Antonio Mottana, diacono permanente e assistente religioso nell’Ospedale di Desio: «Sul territorio sono i più vicini ai malati, che non hanno bisogno solo di cure mediche, ma anche di una stretta di mano, di una parola, di un sorriso»
di Annamaria
Braccini
Da quando è stato ordinato 15 anni fa diacono permanente, è impegnato sulla frontiera del sostegno e della vicinanza ai malati. Incaricato, tra l’altro, della Pastorale della salute a livello decanale e chiamato a partecipare a una delle Commissioni diocesane su questo ambito e il territorio. Ma Antonio Mottana, da circa 7 anni, è soprattutto assistente religioso nell’Ospedale di Desio, occupandosi anche del coordinamento dei Ministri straordinari della Comunione eucaristica nell’Unità pastorale di Arosio-Carugo.
Perché è importante riflettere sul rapporto tra i Ministri e la Pastorale della salute?
Come sappiamo, i Ministri sono alcune migliaia e visitano soprattutto anziani, portando loro l’Eucaristia. Ritengo che siano figure strategiche perché, sul territorio, rappresentano sicuramente quanti più sono vicini alle persone in difficoltà.
Sono quindi un tassello da valorizzare in quel grande arazzo che è la galassia del prendersi cura, a diversi livelli, del malato e tutti quelli che hanno necessità di essere sostenuti?
Assolutamente sì, come ho potuto personalmente constatare molte volte. Vorrei dire che è un modo di farsi prossimo agli ultimi che si aggiunge, a pari livello, a ciò che le parrocchie e le nostre comunità mettono in campo a favore dei poveri.
Per la sua esperienza questo accompagnamento può essere considerato una vera e propria cura, oltre naturalmente alle necessarie pratiche mediche e cliniche?
Anche in questo caso la risposta è positiva, ma occorre notare che per persone come i pazienti oncologici o neurologici, spesso manca la forma di prossimità dei Ministri, più che altro per una carenza formativa dei Ministri stessi che emerge quando si evidenziano difficoltà di approccio verso alcune tipologie di malati. Su questo stiamo lavorando, come testimonia il prossimo convegno promosso dalla Pastorale della Salute. Anch’io, in prima persona, mi sto impegnando a creare corsi di formazione atti ad avvicinare sempre di più queste situazioni. La vicinanza di quello che potremmo chiamare un assistente spirituale è fondamentale: il malato grave è molto solo di fronte alla sofferenza e ha bisogno non unicamente di cure appropriate dal punto di vista scientifico e clinico, ma anche di presenze amorevoli che possano confortare, magari stringendo una mano, dicendo una parola semplice, avvicinandosi con un sorriso.