Un secolo fa moriva il grande e indimenticato arcivescovo di Milano, chiamato «padre della carità cristiana». Colpito da un tumore alla laringe, visse santamente il calvario della malattia. Ad Alassio, dove Ferrari trascorse un breve periodo di riposo, già il cardinal Colombo, nel 1964, volle creare una cappella che ricordasse il suo predecessore.
di Luca
Frigerio
Ad Alassio, nota località balneare nel territorio di Savona, c’è una cappella dedicata al beato Andrea Ferrari. Fu eretta nel 1964, per desiderio dell’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Colombo, in memoria all’amato e indimenticato predecessore. Proprio qui, infatti, il cardinal Ferrari soggiornò sofferente durante un periodo della sua malattia: un tumore alla laringe che lo portò alla morte il 2 febbraio 1921, un secolo fa.
Nel maggio 2014, a cinquant’anni da quell’evento, un pellegrinaggio diocesano, promosso da monsignor Giorgio Colombo (scomparso da pochi mesi, quasi centenario, dopo una vita di dedizione alla Chiesa milanese), aveva rinnovato il legame con quel piccolo tempio dedicato ad Alassio al grande pastore ambrosiano, il primo a essere elevato all’onore degli altari dopo san Carlo Borromeo.
In questo luogo, infatti, le suore benedettine avevano una “piccola casa” che, tra il 6 novembre e il 9 dicembre 1919, fu «testimone silenziosa della grande e pia sofferenza offerta dal cardinale Andrea Ferrari per la sua Milano», come si legge nell’epigrafe incisa su una grande lastra di marmo di Candoglia – il medesimo utilizzato per la costruzione della Cattedrale ambrosiana – fatta apporre nella cappella ligure dallo stesso arcivescovo Colombo.
Il male si era manifestato già nella primavera del 1918, «con una forte tosse e con una molesta raucedine», come si legge nelle cronache dell’epoca, che velava la voce di Ferrari e che, con il passare delle settimane, invece di regredire s’aggravò sempre di più. L’arcivescovo, del resto, per tutto il tempo del suo episcopato, aveva sottoposto la laringe a uno sforzo immane, pronunciando oltre ventimila discorsi, sempre a voce spiegata (non potendo giovarsi, ovviamente, della moderna amplificazione microfonica).
Il 16 febbraio 1919, nella chiesa del Carmine a Milano, il cardinale fu costretto ad annunciare ai fedeli che non era in grado di tenere il solito discorso. Nonostante ciò, il vescovo Andrea non volle interrompere, e neppure limitare, la sua intensa attività pastorale. Nel giugno di quell’anno, tuttavia, il suo medico curante, il professor Biagi, scoprì un papilloma sulla corda vocale di sinistra, che dopo una serie di esami istologici si rivelò essere un tumore maligno.
I medici a questo punto imposero al cardinal Ferrari un periodo di riposo assoluto. Il vescovo partì per Alassio dopo le celebrazioni per la festa di san Carlo, che coincideva con il giubileo del suo episcopato milanese. L’intera diocesi ambrosiana in quei giorni si strinse in preghiera attorno al suo pastore convalescente, che tuttavia non risparmiò visite né benedizioni. E con l’inizio del periodo d’Avvento era di nuovo a Milano, senza che la sua salute, purtroppo, fosse migliorata.
Anzi, il cardinale continuò a peggiorare, tra febbri, emorragie ed interventi chirurgici (che alla fine furono ben tredici). Ferrari sopportò ogni cosa con forza esemplare, non rinunciando a nessuna delle funzioni né delle visite pastorali programmate, come rendendosi conto che ormai gli era rimasto poco tempo e ancora molto da fare… Negli ultimi mesi non respirava che a stento, e anche solo deglutire gli comportava una sofferenza atroce: eppure, per rimanere lucido e presente, fino all’ultimo rifiutò qualsiasi intervento per attutire il dolore.
«Eroe della carità cristiana», lo ha definito il cardinale Giovanni Colombo, che aveva avuto occasione di conoscerlo personalmente da giovane prete ambrosiano. E davvero l’arcivescovo Ferrari «si è lasciato occupare dalla carità», come ricordava anche il cardinal Saldarini, «lasciandosi amare da Dio fino in fondo e amando tutti e tutto fino in fondo», in anni difficili come quelli dell’inizio del Ventesimo secolo che videro la società sconvolta dalle tensioni sociali e dalla tragedia della prima guerra mondiale, ma nei quali il beato Andrea operò affinché «la carità diventasse la norma della giustizia».
Per questo il cardinal Colombo, appena diventato vescovo di Milano, volle omaggiare la figura di Ferrari. Negli anni Sessanta del secolo scorso, la “piccola casa” ad Alassio, situata a pochi passi dal mare, era diventata di proprietà della Cariplo. Colombo propose allora all’istituto bancario che quella dimora che aveva accolto il suo predecessore malato fosse trasformata in una piccola chiesa, in modo da mantenere la memoria del cardinal Ferrari (che sarà poi beatificato, appunto, il 10 maggio 1987).
I lavori procedettero rapidamente e gli arredi e i paramenti sacri furono realizzati dalla Scuola Beato Angelico, come il bel crocefisso ligneo con le figure di sant’Ambrogio e di sant’Andrea, patroni dello stesso Ferrari. Opere a cui oggi si sono aggiunti nuovi lavori artistici, per continuare a ricordare la santità di un vescovo e la sua totale dedizione al suo popolo.