L’Arcivescovo ha visitato il Refettorio Ambrosiano, portando la sua benedizione natalizia e incontrando ospiti e volontari. «La povertà dell’altro fa emergere il bene che c’è in noi»

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di Annamaria Braccini

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Se è vero – come è vero – che il bene bisogna farlo bene e che occorre la “fantasia della carità”, come diceva san Giovanni Paolo II, non vi è dubbio che il Refettorio Ambrosiano sia un esempio di tutto questo, in un luogo arricchito dall’arte moderna, bello come un ristorante alla moda, prezioso come può esserlo solo una mensa che aiuta chi è nel disagio a consumare un pasto con dignità. Utile perché per preparare le pietanze – secondo la filosofia con cui fu creato ai tempi di Expo 2015 -, si usano eccedenze, combattendo lo spreco alimentare. Tanto che, anche durante il Covid, ciò è continuato e ha permesso alla mensa di recuperare, quest’anno, 140 tonnellate di cibo, addirittura più dello scorso anno, quando le tonnellate raccolte erano state 138.

E, poi, i volontari, le storie che raccontano di vite aiutate a rialzarsi, specie ora nella crisi resa ancora più grave dalla pandemia. Insomma, tutto ciò che vede l’Arcivescovo entrando nella cucina, salutando la quindicina di volontari presenti, ma soprattutto, la ventina di ospiti – l’ultimo “turno” della serata – alloggiati nel vicino Rifugio di Via Sammartini (gestito, come il Refettorio, da Caritas ambrosiana).appena conclusa la cena dell’antivigilia di Natale.

«Natale ci dice che Dio si è fatto bambino per condividere la fragilità, la povertà, la debolezza. Quindi, il Dio dei cristiani non è qualche ente supremo nascosto chissà dove, ma è la presenza del Figlio che ci rivela il Padre. L’augurio che voglio farvi è che sia Natale, non perché le cose vanno tutte bene, non perché tutto è a posto, non perché si prospettano occasioni di prosperità o di grandi feste. Come sapete, quest’anno, neppure le famiglie, se sono numerose o abitano in diversi paesi, riescono a radunarsi».

Eppure, nemmeno in questo periodo di festa (che per molti può essere anche più doloroso), la pandemia ha fermato la solidarietà. Anzi. Infatti, 20 giovani, tra i 18 e i 30 anni, verranno a dare man forte al gruppo dei volontari, permettendo alla mensa di restare operativa anche la domenica, nel giorno generalmente di chiusura. Le nuove leve svolgeranno il servizio, in particolare, il 27 dicembre e 3 gennaio. Nel resto dei giorni ci saranno gli altri 72 volontari che, dall’inizio della pandemia, non si sono mai tirati indietro, consentendo al Refettorio di continuare ad accogliere persone in difficoltà durante tutto l’anno, da lunedì a venerdì e garantendo il servizio anche nel primo lockdown, quando le limitazioni erano più stringenti.

E così – forse pensando proprio a chi si prodiga con tanta generosità – il vescovo Mario aggiunge.

«Forse qualcuno pensa che conviene rimandare il Natale. Invece, io ho deciso che il Natale quest’anno è ancora il 25 dicembre. Gesù, per nascere, per darci la sua speranza, non aspetta che il mondo sia a posto, che tutti siano contenti, felici e che tutto vada bene. Gesù è venuto apposta là dove c’è un mondo da aggiustare, là dove c’è gente da radunare perché si è dispersa, là dove c’è un pane da condividere perché c’è chi ne ha troppo e chi ne ha troppo poco. Il Natale non è una festa per godere le cose che abbiamo, ma è un momento per cambiare il nostro modo di vivere, il nostro modo di pensare a Dio e di metterci in rapporto con gli altri. Quindi, ringrazio i volontari, ringrazio tutta la cucina che ha preparato le cose buone di questa sera, ringrazio voi che venite qui ad apprezzare il lavoro delle persone che si dedicano a questo; ringrazio tutto il mondo che sta attorno al Refettorio Ambrosiano, perché non è soltanto quello che si fa una sera». Ma è quanto si costruisce giorno dopo giorno, anche nei momenti più difficili. Infatti, per assicurare la cena a tutti i 90 ospiti che possono usufruire della mensa e, al tempo stesso, rispettare le norme sul distanziamento sociale, i volontari hanno dovuto moltiplicare gli sforzi, triplicando i turni. In questo modo, gli ospiti, dal mese di marzo, possono entrare a gruppi, lungo un periodo di tempo dalle 17.30 alle 18,45 e ciò permette loro di sedersi ai tavoli mantenendo la distanza di 2 metri.

«Questa sera – conclude l’Arcivescovo, prima della benedizione – vuole essere di gratitudine per tutti e per dire che, in un certo qual modo, proprio questo è il Natale: quando si ricorda che Gesù è nato povero per renderci ricchi della sua povertà; è nato ignorato per dare a tutti l’idea di una propria dignità; è nato come uno che ha bisogno di tutto, per convincere molti che possono tirar fuori quello che hanno, che possono fare il bene. Il fatto che c’è un bambino bisognoso sollecita, non solo Maria e Giuseppe, ma anche i pastori e coloro che hanno un cuore capace di compassione, a fare qualcosa perché questo bambino stia bene. Quindi, la povertà dell’altro fa emergere il bene che c’è in noi. Questo è il messaggio che voglio condividere con voi, e voglio augurarvi buon Natale, voglio benedirvi nel nome del Signore, e così salutarvi».

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