Carmelitana e studiosa di ebraismo, suor Cristiana è tra i vincitori dell’International Martini Award, con un saggio inedito sul rapporto fra il Cardinale e Israele, anche attraverso una selezione di suoi testi poco noti. Ce ne parla in questa intervista.
di Michela Beatrice FERRI
Sabato 15 febbraio (anniversario della nascita del cardinale Carlo Maria Martini) durante la cerimonia di premiazione che si terrà alle ore 11 presso la Sala convegni della Curia arcivescovile, a suor Cristiana Dobner verrà conferito l’“International Martini Award” per il saggio intitolato “L’eccesso. Tu, Carlo Maria Martini, che dici di Gerusalemme?”.
Carmelitana scalza dal 1972, da oltre vent’anni suor Cristiana Dobner vive nel Monastero “Santa Maria del Monte Carmelo” a Concenedo di Barzio, in Valsassina, dove si dedica alla vita di clausura. Saggista, filosofa e teologa, traduce da una decina di lingue, è studiosa di ebraismo, insegna greco-biblico ed ebraico alle novizie, e collabora con varie testate cattoliche e con l’agenzia SIR. La passione per la cultura ebraica è uno dei perni della sua attività intellettuale e il motivo del suo legame profondo con la figura e con l’opera di Carlo Maria Martini.
Suor Cristiana Dobner ci parla del suo saggio: una biografia del cardinale Martini scritta dal punto di vista del suo amore per Gerusalemme, per la Terra Santa e per il mondo ebraico.
Suor Cristiana Dobner, perché il titolo di questo saggio è “L’eccesso”?
Perché l’“eccesso” per Carlo Maria Martini “è” Gerusalemme: padre Martini ha compiuto un cammino dentro la Bibbia e accompagnato dalla Bibbia, e sempre orientandosi da Gerusalemme e verso Gerusalemme. Per padre Martini Gerusalemme ha sempre rappresentato la sorgente della riflessione teologica e della ricerca della Parola. Tra le domande inevitabili che un cristiano deve affrontare, Martini ha scelto di concentrare il proprio pensiero su una di esse in particolare: «[…] tu che dici di Gerusalemme? In che rapporto ti senti con Gerusalemme?». Per me è stato importante esaminare e capire che cosa Martini pensasse di Gerusalemme e come vivesse il suo rapporto con Gerusalemme.
Avere scritto sul significato che Gerusalemme ebbe per Martini significa, allora, avere realizzato una sua biografia intellettuale?
Questo saggio può essere indicato come una biografia intellettuale e spirituale, assieme. Leggere queste pagine significa entrare direttamente nella persona di Martini: nella dimensione del suo profondo amore per l’ebraismo, quel mondo che generò la Parola.
Martini è stato interprete e promotore del ruolo significativo di Gerusalemme e della cultura ebraica nella nostra epoca. Ha vissuto Gerusalemme e ha vissuto per Gerusalemme. In che modo lo ha fatto?
Martini ha cercato in Gerusalemme l’origine del suo pensiero e al contempo ha pregato per Gerusalemme. Richiamo un episodio: la Seconda Intifada del settembre del 2000. In quel momento egli ha pensato a Gerusalemme come a un luogo in cui l’Amore si univa alla Tragedia: ha vissuto quei giorni pregando. Richiamo un altro episodio: la Shoah. Il male che colpisce il popolo ebraico è stato definito da lui come l’indice della fragilità del cammino dell’Uomo nella Storia. Martini si addentra nella comprensione di questa ferita: per lui parlare di “riconciliazione” dopo la Shoah significa pensare al ruolo di Gerusalemme come a un luogo di conversione (“teshuvah”) del cuore. Infine, non si dimentichi che Martini visse a Gerusalemme e che proprio a Gerusalemme avrebbe voluto morire.
In quale momento della vita di Martini ha origine l’amore per Gerusalemme e, quindi, per l’ebraismo?
Come ho indicato nel mio saggio, Martini prende consapevolezza di questa sua tensione verso la cultura ebraica e verso il suo centro simbolico da ragazzo. Lui stesso spiegò che all’età di dieci anni provò per la prima volta in vita sua il desiderio di vivere a Gerusalemme. Ciò accadde dopo avere ascoltato il racconto di uno dei padri gesuiti su sant’Ignazio di Loyola: dopo la sua conversione, Ignazio volle andare a Gerusalemme. In questo punto ben preciso della vita di Carlo Maria Martini ha origine il suo amore per la Parola e per il luogo della sua “origine”, e ha origine il tema della sua vita: il richiamo verso Gerusalemme.
Martini non prova per Gerusalemme un semplice amore: l’ebraismo e Gerusalemme sono il tema portante della sua vita?
Lo sono, assolutamente. L’amore per la Parola colta nella sua profonda dimensione di espressione della cultura ebraica che parla e che insegna, è stato la vita di Martini. Il mio testo prende avvio dalla ricerca del primo germe del legame con Gerusalemme, portandolo fino alla conclusione. La Parola lo ha portato a Gerusalemme: egli vedeva nella Parola le radici della Terra di Israele. Abbiamo riconosciuto in Martini il biblista, la persona attenta all’ebraismo e a un linguaggio che esprimeva con uno stile unico e ricco di saggezza il contatto con il Popolo Ebraico.
Quello di Martini era un linguaggio impregnato di conoscenza dell’ebraismo e della Parola. Come può essere definito?
Il linguaggio martiniano è un linguaggio anzitutto teologico ed ecumenico, un linguaggio innovativo perché evidenzia con termini nuovi il profondo senso del rispetto verso il mondo ebraico. Ricordiamo ancora Martini usare la dizione “fratelli maggiori” per rivolgersi agli ebrei. Il suo linguaggio è stato contestativo proprio perché parlando di cultura ebraica si opponeva a ciò che nel linguaggio corrente era inadeguato. Martini poté capire fino in fondo Gerusalemme perché si pose come testimone credente non solo da un punto di vista prettamente teologico, ma simultaneamente da un punto di vista anzitutto geografico e storico: Gerusalemme fu per lui un luogo teologico e teologale assieme. Come ha affermato monsignor Pier Francesco Fumagalli: «Martini era sempre orientato verso Gerusalemme».