Noto come editore (fu lui a diffondere fra il pubblico italiano la musica di Verdi, ma anche di Wagner), Ricordi fu buon pianista e insospettabile autore, oggi riproposto da Roberto Piana con un nuovo CD denso di sorprese. Magari da riascoltare nella "coda" delle celebrazioni verdiane...
di Giovanni GUZZI
Negli spettacoli di fuochi pirotecnici i "botti" principali sono introdotti ed accompagnati da una corona di altrettanto scoppiettanti cascate di stelle che, seppur meno imponenti, non sono meno sfavillanti ed assicuranno senso ed equilibrio alla festa di luce.
Ed è stato così anche per l’appena terminato anno celebrativo del concomitante duplice bicentenario della nascita di Wagner e Verdi, simbolicamente racchiuso fra i due principali appuntamenti delle "Prime" alla Scala con Lohengrin e La Traviata.
Una di queste scintille è stata un personaggio milanese che gran parte ha avuto nel contribuire al successo popolare dei due operisti costituendone, in un certo senso, oltre all’anno di nascita, un secondo e più significativo elemento di unione al di là delle contrapposizioni stilistico-compositive e nella passione delle preferenze del pubblico di ogni tempo per l’uno o per l’altro.
Il riferimento è a Giulio Ricordi (1840-1912), che tutti conoscono come editore della musica verdiana ma del quale non è altrettanto noto il suo aver pubblicato anche quella di Wagner ed ancor meno si sa è che era anche lui un compositore.
Un assaggio della sua musica suonata dal vivo l’ha offerto, nel centenario della morte, il festival MiTo Settembre Musica che gli ha dedicato una giornata di convegni e concerti ospitati dalle sale della Biblioteca e della Pinacoteca di Brera. Occasione in cui il pubblico ha potuto conoscere l’autore di un repertorio vario e riecheggiante in modo non banale la musica del tempo stampata dal Ricordi editore e premessa ad un bel CD Giulio Ricordi – Opere per pianoforte (Tactus 2013 – TC 841801) in cui Roberto Piana completa l’antipasto dei brani proposto in concerto con una più ampia panoramica incisa, come ci ha dichiarato, «per la volontà di colmare una lacuna discografica ma, ancora prima, per il desiderio di diffondere musiche ingiustamente sconosciute».
L’iniziativa nasce dal casuale ritrovamento da parte di Roberto Piana di un volumetto Ricordi in cui era pubblicata una raccolta di spartiti di Jules Burgmein, all’apparenza un compositore franco-tedesco ma, in realtà, pseudonimo dello stesso Giulio Ricordi con cui ironicamente, ma esplicitamente, egli dichiara il suo pieno inserimento nel panorama culturale europeo mai disgiunto dalle profonde radici italiane e particolarmente milanesi: Burgmein significa, infatti, "il mio paese"!
Propugnatore della melodia spiegata e del belcanto, Giulio Ricordi, come il padre Tito, era un buon pianista ed allo strumento ha dedicato una cospicua quantità di brani caratteristici che, come per il resto della sua musica, non permettono di delinearne una specifica autonoma individualità dimostrando, invece, l’eclettismo di un musicista curioso ed aperto a tutti i generi musicali, i livelli culturali, gli stili, e le musiche di altre nazioni ed attento a catturarne l’essenza con il gusto per la ricreazione stilistica a volte ironica a volte sincera tradotto in una varietà di atteggiamenti ben documentati nella scelta di Roberto Piana.
Alla domanda sullo spessore compositivo di Ricordi, Piana risponde: «Non mi piace valutare i lavori musicali ma amo contemplarne l’essenza. È un approccio che favorisce la conoscenza e limita ogni sorta di preconcetto». E continua: «Si tratta di musica che, pur utilizzando un linguaggio facilmente comprensibile, è capace di non cadere nei soliti luoghi comuni», concludendo che, sotto il profilo esecutivo, «gratifica l’interprete con la sua piacevole fluidità».
Caratteristiche ben riconoscibili anche da chi ascolta musica per piacere e non solo per interesse storico-musicologico, come i brani contenuti nel CD dimostrano.
Romance Poudrée, il brano di apertura, un breve capolavoro dalla melodia cantabile e romantica (da Impressions de route, quatre petites pièces pour piano del 1898), propone cadenze e colori armonici modellati sullo stile di Puccini, che in quegli anni lo stesso Ricordi – come editore – portava alla ribalta, e fin dalle prime note evoca nell’ascoltatore di oggi la nostalgia per i fasti del mondo della Belle époque e la polvere del tempo che ricopre di melanconia cose e persone.
Autopresentata dallo stesso Ricordi come «una vera fiaba in sette pezzi per pianoforte su caratteristici versi di Fram» la successiva suite narrativa Il racconto della nonna (1900) è più uno sguardo degli adulti sul mondo dell’infanzia, che una vera raccolta di pezzi per l’infanzia. Inevitabile è il riferimento a Schumann: dall’Album für die Jugend (prima composizione schumanniana pubblicata in Italia, da Tito, nel 1850) alle Kinderszenen. La scrittura del Racconto della nonna che Roberto Piana esegue per intero è assai semplice, ben lontana da quei modelli, eppure contiene tutti gli ingredienti per incantare ascoltatori piccoli e grandi e la chiara intenzione narrativa realizzata con l’episodica ricorrenza del tema iniziale facilmente orecchiabile e presentato nel Preambolo (C’era una volta) dalla sola mano destra per essere arricchito di semplici armonie e sfumare, infine nelle acque cullanti della successiva Barcarola (Il lago!). Il terzo brano, Danza fantastica (Le ondine), è una melodia sognante fatta di due note ed accordi appoggiati che si alternano fra i registri acuto e basso e ricamati da abbellimenti che ricordano le increspature di piccole onde spinte da un vento leggero. Non manca la Tragedia (Il drago) tanto energica nell’attacco quanto delicata nella conclusione, per rassicurare i bambini che il pericolo è passato! E dopo la Preghiera (O mamma cara) e gli ultimi giochi serali prima di coricarsi descritti dallo Scherzo (Le lucciolette), una sorta di disneyano balletto notturno, ecco il chiaro ritorno del tema iniziale nell’Epilogo (Buona notte, piccini!).
Con la Fantaisie Hongroise (del 1883) Giulio Ricordi guarda invece a Brahms e a Liszt. Le Danze del primo e un paio di Rapsodie del secondo, nelle versioni sinfoniche, erano in quegli anni fra i brani più frequentati dalle nuove società orchestrali. Questo stile magiaro di maniera, fatto di pochi gradi alterati, di acciaccature ritmiche, di alternanze fra sezioni languide a vigorose accelerazioni, è prediletto dal nuovo pubblico. Lo conferma il poeta Rocco Pagliara quando nel 1889 scrive a Martucci: «Pensa quanto abbiano giovato alla fama del Brahms le danze ungheresi! Una di quelle danze vale più di tutte le sue sinfonie, come risultato pratico!»; parole che colgono il clima del momento e spiegano l’intenzione di Giulio che l’accentua anagrammando il suo pseudonimo per trasformarlo in un magiaro Grubmeni. Dedicata al padre Tito, ottimo virtuoso al quale Giulio rende onore con una scrittura pianistica di non semplice esecuzione, la Fantasia, nonostante armonie un po’ scontate e prevedibili è comunque energica e ricca di effetti "speciali" che la rendono piacevole da ascoltare.
Carattere del tutto opposto hanno i quattro pezzi di Aquarelles (Folle ivresse, Jeux d’enfants, En rêvant, Aubade champêtre), lavorati di fino con richiami alla Francia di Fauré e Bizet e Le rêve de l’Odalisque (1885), lavoro intriso di un orientalismo di maniera debitrice al gusto orientaleggiante già in voga agli inizi della Belle époque.
Dello stesso anno di quest’ultimo brano sono i 12 frammenti caratteristici per pianoforte del 1885, bozzetti sui 12 mesi derivati da un unico motivo di 5 suoni, sul modello del Carnaval di Schumann e nei quali bozzetto caratteristico ed ispirazione schumanniana non sono scelte personali ma rispondono a una richiesta del consumo musicale italiano, come testimoniano coeve suites di altri autori del tempo. Raccolti in un Almanacco Musicale, nel quale ad ogni mese è accostato un fantasioso titolo programmatico che costituisce un efficace indirizzo all’ascolto (dagli Esquimesi di Gennaio al Quasi Valzer di Dicembre), anticipano l’idea ciclica poi sviluppata nel già descritto Racconto della nonna.