Dopo l'annuncio del maresciallo Badoglio, molte furono le manifestazioni di gioia, ma pochi pensarono che si chiudeva una guerra per aprirsene un'altra... A 70 anni da quella tragica pagina della nostra storia, una ricostruzione di cosa avvenne nel capoluogo lombardo in quelle ore e nei giorni immediatamente successivi.

di Luca Frigerio

1943 bombardamenti

L’alba dell’8 settembre 1943 sorgeva lenta e angosciante su una Milano ancora stordita dai pesanti bombardamenti aerei di metà agosto: la Scala sventrata, la Galleria Vittorio Emanuele ridotta ad un cumulo di macerie, la basilica di Sant’Ambrogio colpita gravemente, interi caseggiati in fiamme. E i morti e i feriti, a decine, a centinaia. Ma in mezzo a tanta distruzione, si scorgeva anche qualche segno di speranza. Il Duomo, riparati i danni più gravi, riapriva le proprie porte per celebrare la ricorrenza della Natività della Vergine, a cui la cattedrale ambrosiana è dedicata. Dall’alto del pulpito, il cardinal Schuster invitava i milanesi, accorsi più numerosi che mai, a non perdersi d’animo, auspicando la fine della guerra e una pace giusta.

Ore 20, la notizia dell’Armistizio.
Fu solo nel tardo pomeriggio che in città cominciarono a diffondersi le prime notizie riguardo alla firma di un armistizio tra l’Italia e gli anglo-americani. Alcuni, infatti, erano riusciti a captare Radio Algeri o Radio Londra, dai cui microfoni Eisenhower, il comandante in capo delle forze alleate, aveva annunciato la fine delle ostilità con l’esercito italiano. Ma pochi ci credevano. Nei giorni precedenti erano circolate troppe voci false e incontrollate, e ora la maggior parte dei milanesi mostrava un comprensibile scetticismo. La Eiar, inoltre, continuava a trasmettere i consueti programmi radiofonici.

E continuò a farlo fino a pochi minuti prima delle ore 20, quando improvvisamente le solite canzonette vennero interrotte per trasmettere un messaggio di Badoglio. Con voce pacata e impersonale, il vecchio maresciallo d’Italia diede questo annuncio: «Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower». La richiesta era stata accolta, e di conseguenza doveva cessare ogni attività militare contro gli anglo-americani da parte delle nostre forze. Le quali, tuttavia, specificava Badoglio, avrebbero dovuto reagire «a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Frase, quest’ultima, oscura e sibillina, ma che comprensibilmente passò allora quasi inosservata, per la gioia autentica che subito invase gran parte degli italiani, stanchi di una guerra ormai perduta. La gente scese nelle strade, riversandosi a Milano soprattutto in piazza Duomo, dove si formarono cortei spontanei. Tra i milanesi vi fu chi si lasciò andare a vere e proprie manifestazioni di euforia, chi cercava di discutere e commentare l’accaduto, chi già faceva progetti per l’immediato futuro. Sicuramente ben pochi, in quella bella serata, pensarono che si chiudeva una guerra per aprirsene un’altra.

Dall’euforia all’angoscia
Il giorno seguente, l’ottimismo salì alle stelle, perché tutti i giornali, riportando a caratteri cubitali la notizia dell’armistizio, ne confermavano la validità e l’ufficialità. Nulla però veniva detto riguardo alla reazione dei tedeschi, nostri ex alleati. Gli stessi comandi militari, in realtà non sapevano cosa fare o come comportarsi. Il generale Vittorio Ruggero, comandante della difesa di Milano, chiese a Roma di poter prendere adeguate contromisure contro le forze germaniche, che stavano già premendo a cavallo del Po. Ma non ricevette alcun ordine preciso, se non un vago consiglio di agire per il meglio. Vittorio Emanuele III, del resto, aveva già abbandonato la capitale, fuggendo a Brindisi, e con lui buona parte del nostro stato maggiore.

La situazione andò aggravandosi rapidamente. Nelle ore seguenti, infatti, reparti della Wehrmacht e delle SS attaccarono molte città dell’Italia settentrionale, occupandole e disarmando le nostre guarnigioni. Ma a Milano queste drammatiche notizie arrivavano ancora frammentarie e imprecise, aumentando la confusione. In molte fabbriche gli operai chiedevano armi, mentre quanti potevano cercavano di abbandonare la città. Il 10 settembre, il generale Ruggero, sebbene il capoluogo lombardo non fosse ancora stato attaccato dalle forze germaniche, decise di arrendersi senza combattere, ritenendo impossibile e inutile ogni resistenza: i tedeschi, in effetti, avevano già nelle loro mani Bergamo, Brescia, Pavia, Cremona e Piacenza, mentre la guarnigione milanese era composta per lo più da riservisti male armati. In serata fu raggiunto un accordo con i tedeschi, i quali, pur presidiando i servizi e alcuni punti strategici, dichiaravano che avrebbero rinunciato a occupare la città e a disarmare i soldati italiani.

Prigionieri dei tedeschi
Tra i milanesi, tuttavia, ben pochi si faceva grandi illusioni riguardo alle reali intenzioni dei tedeschi, anche perché filtravano ormai sempre più numerose le notizie di arresti, uccisioni e vendette, da parte della Wehrmacht e delle SS, nei confronti dei nostri soldati. Perché, ci si chiedeva da più parti, i nazisti avrebbero dovuto comportarsi diversamente a Milano? E infatti, alle prime luci del 12 settembre, violando quanto essi stessi avevano assicurato, i tedeschi entrarono in forze in città, piombando sul comando della difesa, catturando il generale Ruggero con il suo stato maggiore, circondando le principali caserme cittadine, invadendo le strade con blindati e carri armati.

I nostri reparti, che per lo più erano rimasti disciplinatamente nelle caserme in attesa di ordini, si trovarono improvvisamente prigionieri, circondati dalle truppe germaniche. In una Milano deserta, avvilita e impaurita, si udiva solo lo sferragliare dei cingoli, il rombare dei motori degli autocarri, le raffiche di mitragliatrice, gli ordini urlati degli ufficiali nazisti. Ogni tentativo di reazione da parte dei milanesi venne subito stroncato con forza, mentre dalle stazioni ferroviarie di Centrale e di Lambrate partivano i primi convogli con i soldati italiani catturati, diretti nei lager in Germania.

Fu allora che nacque un sentimento di orrore, di ribellione, di rabbia. Fu allora che ebbe inizio, negli animi dei milanesi e nel resto dell’Italia invasa, la resistenza contro il nazifascismo.

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