Felice Cappa, regista della pièce di Marco Garzonio che andrà in scena al Piccolo di Milano dal 25 settembre al 6 ottobre, racconta come ha affrontato la figura dell'Arcivescovo di Milano, voce profetica del nostro tempo.
di Ylenia SPINELLI
«Non volevo fare uno spettacolo teatrale con personaggi e ruoli definiti, ma provare a far risuonare le parole di Martini, far sì che gli attori in scena restituissero la complessità del suo pensiero e la sua spiritualità attraverso suggestioni».
È così che Felice Cappa spiega il suo approccio registico a Martini: il Cardinale e gli altri, pièce di Marco Garzonio, scritta appositamente per il Festival di Spoleto, che andrà in scena al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano dal 25 settembre al 6 ottobre.
Un progetto prodotto da CRT Milano/Centro Ricerche Teatrali che coinvolge non solo il Festival dei Due Mondi, ma anche la Fondazione Corriere della Sera, testata per la quale Garzonio (il “maggior esperto martiniano”, come lo ha definito il card. Ravasi) ha seguito Carlo Maria Martini sin dal suo arrivo a Milano.
Cappa, come ha affrontato la regia di questo spettacolo?
Conoscevo il lavoro di Garzonio, soprattutto Il profeta. Vita di Carlo Maria Martini, il libro da lui pubblicato lo scorso anno da cui ha preso avvio il testo di questo spettacolo Il vescovo, la polis, i tempi, da me poi riadattato per la messa in scena.
Inizialmente ero un po’ spaventato dalla complessità della statura di Martini, ma poi, rileggendo anche altri testi dell’Arcivescovo, mi sono fatto coinvolgere dal suo pensiero e ho capito che era giusto rimetterlo in circolo. Non ho pensato ad uno spettacolo teatrale, ma ad un momento di condivisione, di ricordo, per aiutare a capire fino in fondo le parole di Martini nella loro forza profetica.
Il suo è un approccio da credente?
No,da laico, con una forte formazione cattolica. Non ho conosciuto personalmente Martini, ma ho partecipato a qualche incontro della “Cattedra dei non credenti”, in cui tutta la città di Milano si ritrovava, a prescindere dalla posizione filosofica o religiosa. Mi piace approfondire certe tematiche, nel ’99 ho fatto uno spettacolo su san Francesco: è proprio vero che certi fili si riannodano!
Come è stata concepita la pièce?
Nella rappresentazione, Martini è colto nel momento in cui lascia Gerusalemme per ritornare a casa, a causa della malattia. Il viaggio di ritorno è un pretesto scenico per tornare indietro nel tempo e ripercorrere gli oltre 22 anni in cui è stato Pastore a Milano, senza dimenticare il ruolo di profeta dei nostri giorni che assunse dalla Città Santa.
Su quali passaggi chiave del suo episcopato avete insistito?
Tantissimi, negli anni ’80 Milano è scossa dal terrorismo, dalla deindustrializzazione, dalla perdita di lavoro, dalla corruzione, dagli eccessi della finanza, tutti temi su cui Martini interviene con equilibrio, indicando strade da percorrere che sono ancora attuali. Il titolo sottolinea l’importanza del dialogo, fondamentale nel suo pensiero.
Chi interpreterà Martini in scena?
Non c’è, lo si vedrà solo alla fine, per un attimo. In scena, attraverso videoproiezioni, si vedono i luoghi in cui Martini ha vissuto, in particolare Gerusalemme e Milano, e riecheggiano le sue parole attraverso le voci di Giovanni Crippa, Lucilla Giagnoni e di un ragazzino (Giovanni Antonio Cappa, figlio del regista, ndr) a testimoniare il passaggio di consegne del suo pensiero alle nuove generazioni.
Cosa aggiunge questo spettacolo ai tanti libri, articoli, interviste e film su Martini?
Nulla, semplicemente vuole essere un invito a ritornare sul suo pensiero, ad approfondire la potenza profetica delle sue parole: Martini ci ha lasciato molto e non è finito tutto con lui!