Maria Chiaia, presidente del Centro italiano femminile dal 1989 al 1998, ha scritto un poderoso volume, "Donne d’Italia" (Edizioni Studium Roma), che - come recita il sottotitolo - ripercorre la storia del Cif, della Chiesa, del Paese dal 1945 agli anni Novanta. E lo fa attraverso "i detti e i fatti" delle donne cattoliche. Con passione, competenza e curiosità

di Michela NICOLAIS

Donne Chiaia Studium

«La sensibilità nel venire incontro alle donne, ai loro bisogni, alle loro necessità, favorendone la crescita sociale, culturale, politica, etica». Ma anche il dovere di “specchiarsi nel passato” per “progettare il futuro”: perché “le istanze dell’oggi, per diventare speranza, vanno comprese, non accantonate”. Maria Chiaia sintetizza così il peculiare “carisma” del Centro italiano femminile (Cif), che quest’anno compie 70 anni.

Per festeggiarli, Maria Chiaia ha scritto un poderoso volume, Donne d’Italia (Edizioni Studium Roma), che – come recita il sottotitolo – ripercorre la storia del Cif, della Chiesa, del Paese dal 1945 agli anni Novanta. E lo fa attraverso “i detti e i fatti” delle donne cattoliche, sullo sfondo degli eventi salienti della storia italiana e della Chiesa, e grazie ad alcuni editoriali dell’autrice pubblicati sulla rivista del Cif “Cronache e opinioni”, significativi per ricostruire la temperie degli anni Novanta e gli eventi che hanno caratterizzato il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica.

Il volume contiene anche la testimonianza di due protagoniste della storia italiana, Tina Anselmi e Nilde Iotti, e le interviste a Marisa Rodano, Paola Gaiotti, Rosa Russo Iervolino. Per decrivere l’impegno davvero “militante” di Maria Chiaia nel Cif, di cui è stata instancabile presidente (dal 1989 al 1998) e costante animatrice, si dovrebbero usare tre sostantivi: passione, competenza, curiosità. E un verbo: mettersi in gioco, a partire dalla propria coerenza e saggezza di vita. Con spirito di servizio. Le lasciamo la parola, con gratitudine.

 I settant’anni del Centro italiano femminile hanno accompagnato l’evoluzione a della condizione femminile nel nostro Paese. Quali sono le “coordinate”?
Guardando agli inizi del Cif, possiamo individuare due matrici: l’associazionismo cattolico – l’Azione Cattolica, la Gioventù Femminile – che ha proiettato le donne al di fuori di una condizione di arretratezza e di chiusura e ha dato loro un respiro nazionale, formando anche una leadership che non è rimasta chiusa nei recinti dell’associazionismo, ma della quale hanno approfittato poi anche i partiti laici. La seconda matrice è la Resistenza, che tra le sue fila ha annoverato donne come Maria Federici. A Fucecchio, in provincia di Firenze, è stato trovato un documento del 1944, che rivela già la presenza di un Comitato di donne del Cif che faceva parte del Comitato Alta Italia per la lotta di liberazione. Questo dimostra che le donne cattoliche hanno sempre avuto il senso della partecipazione alle grandi lotte per la libertà, per la giustizia, anche dal punto di vista delle responsabilità politiche.

 Dopo la guerra, c’è stata l’opera di ricostruzione morale e materiale…
Il Cif ha spinto le donne ad entrare in gioco, a sanare le necessità, a venire incontro ai bisogni, soprattutto dell’infanzia. Quella degli anni Cinquanta è stata una vera e propria battaglia per ristabilire l’ordine morale, dopo i disastri della guerra. La valorizzazione della vocazione primaria delle donne all’educazione è stata presente fin dal principio tra gli obiettivi del Cif, insieme alla promozione della condizione femminile in termini di parità e di uguaglianza, secondo lo spirito della nostra Costituzione. Una doppia intuizione di fondo che si è declinata in maniera diversa, a seconda delle stagioni: negli anni Sessanta, ad esempio, è esploso il dilemma tra famiglia e lavoro e la necessità di conciliare i due versanti, problema irrisolto ancora oggi. Gli anni Settanta sono stati quelli del divorzio e dell’aborto: il Cif è stata l’unica associazione ad avere il coraggio di confrontarsi, di elaborare proposte per cercare di tamponare gli effetti negativi di una corrente che sovvertiva il valore della famiglia. Stigmatizzando, però, la visione di un femminismo inteso come ‘lotta all’uomo’, in senso sessista, antagonista. Negli anni Ottanta, soprattutto sulla spinta dell’Europa, è emersa la questione della parità di genere, e la necessità per le donne dell’assunzione di responsabilità pubbliche. Tutt’altra cosa rispetto a quella che oggi è l’ideologia del gender, che è invece la negazione di ogni differenza sessuale, in nome di un ‘livellamento’ che la snatura e la espone ad ambizioni strumentali.

La storia del Cif è in un certo senso la storia della conquista, da parte delle donne, di un diritto di cittadinanza: si può parlare di un “femminismo cristiano?
Direi di sì. Il femminismo non ha aggettivi specifici, ma per le donne cristiane ha una valenza molto più profonda e più forte: la coscienza di essere avvolte dal mistero della creaturalità, dal senso del limite come forza e non solo come debolezza. La forza per potere generare, poter dare ancora la vita, non solo in senso biologico: l’amore per la realtà del mondo.

 Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ha auspicato una maggiore presenza delle donne, anche “nei luoghi dove si decide”. Un augurio da farsi anche per il futuro del nostro Paese?
Certamente. Oggi è in gioco la qualità della nostra democrazia, per affermare la quale c’è bisogno della presenza delle donne anche nei luoghi decisionali della politica. Le donne vanno al cuore delle questioni, alla concretezza delle realizzazioni. Soprattutto, vogliono far prevalere la persona su ogni altra cosa, su ogni tipo di interesse, del singolo o di gruppi.

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