Chiusa a Macerata la fase diocesana di beatificazione del missionario gesuita, che nella Cina del XVII secolo ideò nuove forme per annunciare il Vangelo, aprendo la strada al dialogo e al confronto fra civiltà.
a cura di Simona MENGASCINI
«Noi abbiamo un debito, la Chiesa ha un debito, tutta l’umanità ha un debito con padre Matteo Ricci». Così monsignor Claudio Giuliodori, amministratore apostolico della diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, a proposito del gesuita di origine maceratese, morto a Pechino l’11 maggio 1610 e di cui si è celebrata, nella cattedrale di Macerata, la cerimonia di chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione.
«La cosa più sorprendente – ha sottolineato il vescovo – è che tutti gli amici non cristiani, tutti i letterati, tutti coloro che lo ammiravano e che andavano a visitarlo dicevano “veramente è un santo” e facevano a gara a ricordarne le virtù eroiche».
Monsignor Giuliodori ha ricordato che «in tutte le sue lettere e in tutti i suoi scritti padre Ricci non perdeva occasione per dire, soprattutto rendendo conto ai superiori dei gesuiti, che tutto quello che faceva, l’astronomia, la matematica, i mappamondi, la traduzione di testi e tutte le attività che svolgeva e che gli portavano grande stima e collaborazione, nulla era per se stesso, nulla per affermare una qualche superiorità della civiltà europea, lo faceva solamente spinto dalla fede».
Il vescovo ha anche raccontato che Papa Francesco, anch’egli gesuita, parlando di padre Ricci nel contesto della visita ad limina dei vescovi delle Marche, ha sottolineato come «padre Matteo è fondamentale perché ha aperto la strada a nuova forma di evangelizzazione, è colui che nella storia della Chiesa e dell’umanità ha elaborato un nuovo modo di trasmettere il Vangelo e lo ha fatto andando fuori dagli schemi».
“Da cinese, vi dico grazie”.
Alla cerimonia era presente anche mons. Savio Hon Tai Fai, segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, che «da cinese – ha affermato – posso venire in mezzo a voi per dirvi grazie di tutto cuore per averci dato un pioniere eccezionale per lo scambio interculturale, un missionario esemplare dell’evangelizzazione, un santo esuberante per l’edificazione della Chiesa in Cina».
Padre Giuseppe Bellucci, portavoce della Compagnia di Gesù nella provincia d’Italia, ha ricordato come fosse infondata «l’accusa mossa a padre Ricci di aver dato la precedenza alla scienza rispetto all’evangelizzazione». Dalla “Vita di Matteo Ricci” scritta da Giulio Aleni “sappiamo che ogni giorno pregava diligentemente e con lacrime e silenziosamente il Signore del cielo affinché aprisse il cuore degli uomini e li avviasse verso il cammino della fede, senza sosta, mattina e sera”. Padre Bellucci ha sottolineato che una delle prime cose che Matteo Ricci fece in Cina fu “scrivere un catechismo in cinese, in cui certo non si nascondeva la verità”. Dai suoi scritti appare poi chiaramente che “il suo desiderio era di arrivare alla corte del re a Pechino per avere la libera licenza di predicare”.
Figura attuale.
Una relazione preparata in due anni di 50mila parole e 50 allegati: sono questi i numeri dati da padre Gianni Criveller, presidente della Commissione storica della causa di beatificazione. Il religioso ha sottolineato come Ricci è “figura attuale”: la bibliografia è “sterminata” e in Cina “moltissimi studenti si laureano su di lui, nel mondo ci sono almeno una dozzina di centri studi dedicati a padre Ricci e sei lungometraggi sulla sua persona”. Il compito della Commissione storica “è stato quello di verificare l’esistenza della fama di santità come emerge dai suoi scritti e di risolvere storicamente i dubbi e i giudizi negativi che sono stati talvolta pronunciati nei suoi confronti”.
Padre Criveller ha sottolineato come «Ricci vive tutta la sua esperienza missionaria sotto il segno della Provvidenza, che si rivolge a lui attraverso la categoria del ‘sogno’, che indica Pechino come la città che deve essere raggiunta dall’attività missionaria, come ad almeno altri tre tra i santi più significativi della Chiesa: san Paolo, sant’Ignazio di Loyola, san Giovanni Bosco». Padre Ricci fu anche uomo «che credeva nel potere della grazia, della provvidenza, della parola, dei segni e delle immagini sacre»; era anche persona di grande “umanità” e rifuggiva dalla “retorica religiosa”. Tra le sue virtù anche quella della speranza “circa il destino degli uomini virtuosi che aveva incontrato, pur morti senza il battesimo, contro il pessimismo che stava per prendere il sopravvento nella teologia europea”.