Pubblicato da Terra Santa Edizioni, è un libro che non consente sosta e avvince con una duplice trama che pian piano si dipana.
Una giovane donna torna alla vecchia baita di montagna in cui ha trascorso le più belle ore della sua infanzia. L’odio per un padre, che l’ha allontanata senza motivo, si mescola ai ricordi lieti e all’apertura di un misterioso plico: una busta gialla contenente un quaderno nero, alcune microcassette e un vecchio registratore.
Non vorremmo andare oltre nella breve presentazione di questo intenso romanzo, opera prima, per quanto riguarda il genere, di Giuseppe Caffulli, giornalista, collaboratore di quotidiani e periodici. L’autore ha già scritto saggi su vari argomenti e racconti per l’infanzia. Tuttavia, il romanzo Il bosco dei centenari, pubblicato da Edizioni Terra Santa (207 pagine, 16 euro; anche in formato e-book), è un libro che non consente sosta, ti avvince con la duplice trama che pian piano si dipana.
La prima vicenda è il dialogo a distanza, nel tempo, fra una figlia e il padre che ha profondamente odiato, ma che in fondo non ha mai smesso di amare, anche senza capire o forse dopo aver capito esattamente tutto: «Eppure non è dal giorno dell’incidente che dobbiamo partire per riannodare i fili di queste nostre esistenze. So bene che non hai accettato la scelta del collegio, “quel piccolo mondo chiuso e ipocrita”, come lo definivi nelle tue lettere a casa. So bene quanta sofferenza ti sono costati quegli anni lontani dalla tua casa, dai tuoi affetti, dai tuoi amici. Ti sei chiesta per lungo tempo quale fosse la tua colpa. E io a spiegarti che non si trattava di una punizione, ma di una scelta per il tuo futuro, quella di una scuola seria che ti avrebbe formato come persona. Mi guardavi con compatimento ogni volta che ripetevo questa frase, perché in fondo sapevi che neppure io lo pensavo. La ragione vera della decisione di mandarti a Breganzona fu proprio per difenderti, preservarti, risparmiarti il dolore. Come avresti potuto capire e accettare le mie ragioni a tredici anni?».
La seconda è la vicenda di uno strano eremita morto in odore di santità: «Muramba, 14 aprile 1994. Chi scrive è padre Marco Pigatti. Sono un missionario cattolico italiano, passaporto n. AC 12568909. Vivo qui da ormai due anni. Ho costruito io questa scuola in mezzo alla foresta. Quando ci troverete, probabilmente anch’io sarò morto, insieme ai miei trenta ragazzi ai quali hanno spaccato la testa con il machete. Sono ancora vivo grazie a Jean-Pierre, che si è buttato sopra di me quando il miliziano delle squadracce tutsi mi ha colpito alla testa. Il corpo del ragazzo ha attutito il colpo e la lama non mi ha spaccato la calotta. Sono rimasto privo di sensi per molto tempo. Poi mi sono svegliato con la faccia piena di sangue, una profonda ferita tra l’orecchio e la nuca (l’orecchio è anzi quasi interamente mozzato) e il corpo di Jean-Pierre sopra di me, ormai rigido. I suoi occhi erano ancora aperti e le labbra serrate in un sorriso, il sangue gli aveva intriso i vestiti e gli era colato lungo le braccia. Povero e caro Jean-Pierre. Chi sono io per essermi meritato il tuo sacrificio? Come hai potuto buttarti sopra di me per proteggermi? Io avrei dovuto fare scudo su di te, e sugli altri… Non ho potuto nulla».
Due vicende apparentemente slegate, ma, in realtà un unico grande tema, dipinto come un affresco in cui svettano le montagne della Val d’Aosta: il peccato, la desolazione, il baratro, ma anche la possibilità sempre aperta della risalita, perché i Cieli sono aperti per chi ha fede. Si dipana così la lunga e struggente confessione di un genitore alla propria figlia, che diventa occasione per riannodare i fili tagliati e riprendere discorsi interrotti, ma anche per riflettere – attraverso la passionale e codarda storia d’amore di un prete – sul proprio ruolo di marito, di padre, di amante. Il racconto disegna il profilo di due uomini contemporanei, le cui vicende si richiamano a specchio, due amici che si sono in qualche modo riconosciuti nei loro errori, nei loro devastanti sensi di colpa, nel loro bisogno di perdono. Una trama intima e drammatica, che attraverso una scrittura vivida trascina il lettore nell’incostanza della natura, nel mistero del destino, nella consolazione delle piccole cose.
Giuseppe Caffulli, giornalista, collaboratore di quotidiani e periodici, ha realizzato reportage in diversi continenti. Nel 2005 ha vinto il concorso letterario nazionale “Volontari per i diritti” e nel 2007 ha ricevuto il “Premio giornalistico Giuliano Ragno”. Ha scritto saggi su vari argomenti e racconti per l’infanzia (per Edizioni Terra Santa, Storia della gatta Eméline e Un gatto nella mangiatoia).