In Duomo, presenti 90 Catecumeni e una rappresentanza di giovani, l’Arcivescovo ha presieduto la Veglia di preghiera “In Traditione Symboli”. «Con Gesù troveremo più coraggio per andare nel mondo e seminare le parole necessarie alla speranza»
di Annamaria
BRACCINI
Una lettera che parte, in maniera virtuale, dal Duomo con il desiderio di ripartire insieme, condividendo la gioia dell’incontro con il Signore risorto, i fratelli e le sorelle. È una Veglia “In Traditione Symboli” necessariamente diversa per la pandemia, quella che si celebra quest’anno in Cattedrale, dove trovano posto una rappresentanza di giovani, i 90 Catecumeni della Diocesi e i loro accompagnatori. “Traditio” in tempo pasquale – e non come accade annualmente nel sabato che precede la Settimana santa -, nella quale viene consegnato agli adulti che hanno scelto di ricevere il battesimo e ai giovani, il Credo, simbolo della fede. Coin il vescovo Mario, il vicario generale, monsignor Franco Agnesi, i vicari episcopali di Zona, il vicario episcopale per l’Educazione e la Celebrazione della Fede, don Mario Antonelli, i responsabili del Servizio per la Catechesi, don Antonio Costabile e per i Giovani e l’Università, don Marco Fusi – che, in apertura, ricorda che i giovani sono stati invitati a seguire via media la Veglia e ad approfondirla in agorà di discussione sul web nei prossimi giorni -, il direttore della Fondazione degli Oratori Milanesi, don Stefano Guidi. Nella Veglia, articolata in 4 momenti, si prega, si adora la croce posta in altare maggiore, si ascoltano brani della Lettera di Paolo ai Filippesi (4,4) – “Siate sempre lieti nel Signore!” – che dà il titolo alla Lettera per il Tempo pasquale dell’Arcivescovo e della Veglia di preghiera 2020; si accendono le luci tra le navate, mentre l’Arcivescovo accende il Cero pasquale; non mancano le testimonianze come quella di Silvia, neofita che dice: «Sono nata due volte, nel 1985 e nel 2015, quando ho incontrato Gesù». «Un dono» viene definita «la presenza incredibilmente vera di Dio», nella vita di questa giovane donna segnata, nell’infanzia, dalla morte del padre. «Tutto ciò che ho vissuto, trovando Dio, lo sto provando ora, amplificato, diventata mamma. Non abbiate timore di pronunciare la ragione della vostra felicità: essere controcorrente non deve preoccuparvi, l’amore che vivete nelle azioni si riverserà su chi vi sta attorno», conclude.
La pagina del Vangelo di Giovanni, con l’incontro tra Gesù e l’incredulo Tommaso, annoda la riflessione del Vescovo che proprio a un “Tommaso”, che somiglia a tanti di noi, invia la sua lettera.
L’omelia dell’Arcivescovo
«Mi voglio far voce di tutti i credenti della nostra comunità, dei giovani, dei Catecumeni, dei loro accompagnatori, di voi tutti, scrivendo “Caro Tommaso, che dici io non credo, sono contento che sei tornato. Dove sei stato? Perché te ne sei andato? Forse non riuscivi più a sopportare noi, questo gruppo di discepoli inadeguati al Maestro, per i nostri discorsi così banali e deprimenti o per le nostre rivalità e desideri di primeggiare o per le nostre ottusità? Forse sei stato sedotto da altre promesse di vita e di felicità? Forse ti sei chiuso in te stesso, hai preferito la tua solitudine popolata di fantasie, di entusiasmi e di spaventi virtuali? Forse hai pensato che la vita sia un affare privato che potevi risolvere da solo?».
Un incredulo del Terzo millennio, – questo Tommaso – a cui il Vescovo si rivolge ancora con parole attualissime.
«Perché sei tornato? Torni con le ferite e le umiliazioni di una delusione? Perché dici: “non credo”?.
Ti sembra più credibile la sapienza del mondo che decide che cosa sia ragionevole e che cosa sia incredibile, che deride la nostra fede e la nostra esperienza? Ti sembra più ragionevole cercare di ragionare il meno possibile, per evitare le domande troppo inquietanti?».
L’invito è a tenere fisso lo sguardo su Gesù, ascoltando quello che dice: “metti qui il tuo dito e guarda le mie mani”. «Tommaso, guarda il dolore, guarda la morte, guarda l’ingiusto straziante soffrire del Giusto. Metti il tuo dito, Tommaso, non essere come lo spettatore distratto che “sa già” che il mondo è sbagliato e non se ne cura e non si fa domande. C’è una sola via che conduce alla vita eterna, la vita di Dio, quella di un amore come quello di Dio. Non restare imprigionato nei tuoi puntigli e nei tuoi pregiudizi. Tocca la vita e tocca la morte, con cuore semplice, come di bambino. Lasciati amare. Lasciati commuovere dall’amore che si sacrifica per te, per noi, per tutti. Siamo anche noi un po’ smarriti, pieni di gioia e anche di spavento, il mondo là fuori è complicato e non ha stima di noi. In questi tempi il mondo è sconvolto da troppa morte e troppo soffrire. In questi tempi il mondo là fuori è confuso da troppe chiacchiere e da troppe ripicche. Forse, se ti unisci a noi, troveremo più coraggio per andare nel mondo là fuori e seminare le parole necessarie alla speranza e i silenzi necessari alla saggezza. Guarda, tocca, credi».
Un richiamo per tutti coloro – «amici», li chiama l’Arcivescovo – che dicono di non credere, espresso attraverso l’indicazione della strada, invece, percorsa da chi riceverà i Sacramenti dell’Iniziazione cristiana. «Voi Catecumeni che avete trovato una ragione per credere, forse volete firmare questa lettera e recapitarla a qualche vostro amico?».
Poi, il terzo momento, con l’invocazione dello Spartito santo, mentre alcuni giovani, in rappresentanza delle diverse realtà ecclesiali, portano le lampade – simbolo dello Spirito che ci unisce – ai pedi della croce.
Infine, la consegna del Credo ai 90 Catecumeni, giunti al secondo anno del loro cammino di conversione e che – a causa dei provvedimenti per contenere la pandemia – non hanno potuto celebrare il Rito di Elezione all’inizio della Quaresima, i cosiddetti scrutini ed essere ufficialmente accolti dall’Arcivescovo (così come prevede l’antica prassi della Chiesa), pur essendo costantemente seguiti, nel loro cammino formativo, e avendo scritto al vescovo Mario per essere ammessi tra gli Eletti.
Così, prima della recita corale del Padre Nostro, è lui a sottolineare: «Quello che noi rappresentiamo, qui, il piccolo gruppo che siamo, dice cosa è la Chiesa di Milano, come vuole essere, una Chiesa dalle genti. I Catecumeni, che formano le pietre vive con il battesimo, portano le loro diverse culture, non rinnegano la cultura da cui vengono, ma contribuiscono, con le loro tradizioni, a leggere l’unico Vangelo, a professare l’unica fede. Una Chiesa che è fatta da uomini e donne e accoglie, quindi, la vocazione a un amore che genera. Quello che noi siamo qui è un segno della Chiesa e di quello che vuole essere: una Chiesa giovane, che comprende tutte le età, ma custodisce il segreto di una giovinezza che non passa, di una freschezza che continua a dare acqua nuova per chi è assetato. Fratelli e sorelle diversi per origine, per genere, per età, ma solo fratelli e sorelle».
In conclusione, l’invocazione a Maria, anche con il canto dell’“Ave Maria” di Charles Gounod, eseguita al meglio dalla giovane catecumena Veronica