Qui, nel cuore del Palazzo arcivescovile di Milano, si ritirava in preghiera il santo Borromeo, e dopo la sua morte e la sua canonizzazione fu decorata con scene della sua vita e immagini sacre. Un gioiello "nascosto", che vi sveliamo in questo servizio.
Testo e foto di Luca
FRIGERIO
La Cappella di San Carlo, situata all’interno del Palazzo arcivescovile di Milano è uno spazio nascosto e prezioso, quasi un eremo, che da secoli è riservato alla preghiera e alla meditazione dei vescovi ambrosiani.
Proprio qui, infatti, pregava san Carlo. In un piccolo, modestissimo ambiente – due metri e mezzo di lato, perfino meno in altezza – privo di decorazioni, senza ornamenti, ma circondato di immagini sacre, quelle che il Borromeo più amava. Fu solo dopo la beatificazione, nel 1602, che il cardinal Federico volle far ricoprire le pareti della minuscola cappella con alcuni dei momenti più significativi della vita stessa del santo arcivescovo, suo cugino, perché fossero sempre sotto gli occhi dei futuri pastori della Chiesa di Milano: come modello, come ammonimento, come ricordo.
Sulle ridotte superfici murarie del cubicolo curiale, così, il pittore Domenico Pellegrini fu chiamato a prestare la sua opera. In circa due anni affrescò di san Carlo le visite agli infermi e alle comunità plebane, le processioni tra la folla e i sinodi diocesani, il fallito attentato dello sciagurato Farina e le rinunce ai molti titoli e ai cospicui benefici. Poche scene di chiaro effetto, ad esemplificare gli atteggiamenti e le virtù di un grande uomo, di un vero santo. La carità, innanzitutto, incarnata nell’essenzialità dello stile di vita e praticata quotidianamente, sempre e comunque. Poi l’umiltà, tanto amata, tanto rispettata, da divenire il motto stesso del suo agire: che era anche guidare e consigliare la vasta comunità dei fedeli ambrosiani e i suoi sacerdoti. E infine il sacrificio di sé: il non risparmiarsi nel voler raggiungere ogni angolo della terra affidatagli; l’esporsi in prima persona per portare il conforto della fede cristiana in ogni circostanza, peste o non peste; il rischiare la vita stessa di fronte a odio e incomprensione.
Gli stessi temi che verranno ripresi, in forma ben più ampia, monumentale perfino, nei celebri quadroni del Duomo, da quattro secoli esposti tra le navate della cattedrale nella festività patronale. Cosicché in questa cappella, il cardinal Federico come committente, il Pellegrini come esecutore, parvero fare una sorta di <prova> generale.
In alto, nel soffitto ligneo a cassettoni, si staglia l’Eterno in gloria circondato da angeli e cherubini, e più sotto una cornice con i ritratti di venti personaggi: i vescovi milanesi, probabilmente, perché tutti muniti di pastorale e croce astile, tutti raffigurati con vesti pontificali, con mitrie o piviali. Pressoché impossibile, tuttavia, è dare un nome a questi santi pastori, per l’assenza di specifici attributi. Ma forse era proprio questa l’intenzione: mostrare un “gruppo” indistinto nello specifico, ma chiaramente identificabile nel suo ruolo ecclesiale.
La mano è diversa, rispetto a quella di chi ha dipinto le pareti. Si fa il nome di Paolo Camillo Landriani, detto il Duchino, e della sua bottega, portatore di uno stile più lucido, meno impacciato, rispetto al pur volenteroso Pellegrini, certo affascinato dai volumi di Michelangelo Buonarroti. Del Duchino, del resto, è anche la pala d’altare, dove il Bambino Gesù, sorretto dalla Madre, si slancia festoso verso il collo di san Carlo. Che per una volta sorride beato.
La Cappella di San Carlo in Arcivescovado, recentemente restaurata, è uno dei tesori più nascosti e meno conosciuti di Milano, trattandosi di un luogo riservato esclusivamente alla preghiera personale dei vescovi ambrosiani: come tale, lo si comprende, non è aperta al pubblico né visitabile.