Nell'omelia per le celebrazioni nella Cp Santa Croce di Garbagnate Milanese, che hanno aperto la visita pastorale al Decanato di Bollate, l'Arcivescovo fa riferimento al brano evangelico delle nozze di Cana e alla virtù «di abitare il tempo e la vita quotidiana come l’occasione per la risposta alla vocazione»
di monsignor Mario
DELPINI
Arcivescovo di Milano
La visita pastorale
Il vescovo visita le Comunità pastorali, celebra nelle parrocchie, incontra i Consigli pastorali, saluta le persone e i gruppi che riesce a incontrare: è un modo con cui esprime quella sollecitudine per le comunità e le persone e per il loro cammino di fede. Preti, diaconi, consacrati e consacrate, operatori pastorali che sono inviati dal vescovo esprimono nell’ordinario questa sollecitudine del vescovo. La presenza del vescovo è l’occasione per dire di persona che mi state a cuore e per esprimerlo in un incontro di persone.
Il vescovo visita le singole comunità per dire che non esistono solo le singole comunità: tutte le comunità fanno parte della Chiesa, sono chiamate a sentirsi in comunione entro le parrocchie, nella Comunità pastorale, nel decanato nella Diocesi. Nessuna comunità è autosufficiente, nessuna comunità trae vantaggio dal chiudersi in sé, dal porsi come un soggetto che pretende di essere servita. Ogni comunità vive di uno scambio di doni e la Chiesa è un popolo che cammina insieme verso la terra promessa. Il vescovo viene a dire a ogni comunità l’appartenenza alla grande Chiesa di Dio.
Il vescovo visita le comunità per vivere la sua missione, per dire una parola che vorrebbe essere eco di Vangelo.
Quale parola abbiamo da dire oggi a questa comunità, a questa terra?
Abitiamo tra gli uomini
I cristiani non sono il popolo del lamento, dello scontento che mette di malumore e appanna ogni cosa, coprendo di una polvere grigia lo splendore del bello e lo squallore del brutto. I cristiani, piuttosto, abitano nel gemito: la creazione geme e soffre le doglie del parto, …ma anche noi gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.
Il popolo del lamento vive una vita inquinata dal risentimento, trova ogni situazione inadeguata alle sue aspettative e si lamenta.
I cristiani non sono il popolo che giudica quello che accade, ma sono abitati dai sentimenti di Gesù, dalla compassione. Non si ritengono i puri di fronte dal disastro del mondo. Non sono inclini a dire: «Visto? Noi l’avevamo detto!».
Piuttosto il popolo della speranza!
I discepoli di Gesù, la comunità cristiana, abitano il gemito della creazione e della storia umana e ne comprendono il significato perché lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza.
Il gemito dell’incompiuto per il dono dello Spirito diventa preghiera: la sete nel deserto diventa preghiera, il vino insufficiente diventa intercessione. Il gemito diventa voce, la voce dell’intercessione: non hanno vino.
Il gemito della precarietà diventa affidamento: se tutto è minacciato dal tempo e dalla fragilità, i discepoli invece di rassegnarsi si dispongono all’attesa: gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.
Siamo il popolo della speranza.
Abbiamo una obbedienza da praticare
La speranza è la virtù di abitare il tempo e la vita quotidiana come l’occasione per la risposta alla vocazione. «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»: Maria, la donna della fede, indica la docilità alla parola di Gesù come la via per portare a compimento la festa di nozze minacciata dall’insufficienza del vino, cioè dall’esaurirsi della gioia.
La docilità alla parola di Gesù dispone a vivere ogni giorno nella pratica della coerenza, piuttosto che nell’ossessione dei risultati, nel desiderio di conformarsi allo stile di Gesù, piuttosto che nel mendicare l’approvazione del mondo.
La parola di Gesù rivela la sua efficacia nel radunare i discepoli nella comunità che pratica il suo comandamento e il segno che offriamo alla città è di essere un popolo in cammino che pratica la carità perché vive di speranza.