Il "Compianto su Cristo morto" del pittore cremonese del primo Cinquecento, restaurato per l'occasione e mai esposto prima al pubblico, è il culmine di un percorso nei Chiostri di Sant'Eustorgio che porta il visitatore a scoprire anche le due versioni della "Pietà" che il maestro dello Spazialismo aveva realizzato nel 1955 per il Duomo di Milano.
di Luca
FRIGERIO
È una continua fonte di stupore, il Museo Diocesano di Milano. Luogo di incontri di scoperte: come accade in questo tempo di Quaresima, durante il quale gli spazi espositivi dedicati alla cara memoria del cardinale Carlo Maria Martini presentano un suggestivo percorso dedicato alla Passione di Gesù che culmina con due proposte “inedite” e straordinarie: il Compianto degli inizi del Cinquecento attribuito ad Altobello Melone e i bozzetti della Pietà realizzati da Lucio Fontana per il Duomo di Milano.
La grande tavola rinascimentale viene presentata per la prima volta, facendo parte della Quadreria arcivescovile, e quindi di norma non accessibile al pubblico. Un’opera affascinante e “misteriosa”, non essendoci alcuna documentazione né sulla sua origine né sul suo autore. Oggi la critica, tuttavia, si esprime pressoché unanimemente a favore dell’attribuzione ad Altobello Melone, il più originale e il più talentuoso tra i pittori cremonesi attivi nella prima metà del XVI secolo, noto soprattutto per gli affreschi dipinti nella cattedrale della sua città a partire dal 1516.
Attorno a quegli anni, dunque, si collocherebbe anche questo milanese Compianto su Cristo morto, dimostrando qui Altobello di ben conoscere il colore di Giorgione e quello di Dosso Dossi, accendendolo con colpi di luce tizianeschi che fanno risaltare una composizione influenzata probabilmente da Bramantino ma derivata direttamente da Dürer, dimostrando ancora una volta il singolare ecclettismo di un pittore capace di mescolare sulla sua tavolozza elementi veneziani e ferraresi, lombardi e del nord Europa.
Maria, la madre, sembra voler accarezzare per l’ultima volta la mano trafitta del figlio, mentre Maddalena, seduta, stringe in grembo i piedi di Gesù: quei piedi che, secondo la tradizione medievale, aveva già bagnato con le sue lacrime, cospargendoli di profumo prezioso e asciugato con i suoi capelli. Dall’altra parte, invece, Giovanni intreccia le dita delle mani in segno di contrizione: una raffigurazione spesso ripresa dagli artisti, dal cenacolo al sepolcro, a indicare la profonda tristezza d’animo del discepolo prediletto. Un gesto, peraltro, ripetuto da una delle pie donne al margine sinistro dell’opera, dove, sullo sfondo, si intravede anche il Golgota con le tre croci. Come consueta è anche la figura della donna che alza lo sguardo e le braccia al cielo, sfogo disperato di chi non può accettare una tragedia tanto grande. Mentre Giuseppe d’Arimatea, o più probabilmente Nicodemo, piange silenziosamente le sue lacrime, rammentando forse le parole enigmatiche, eppure così profonde, rivelategli dal maestro in quell’incontro notturno…
Se il dipinto di Altobello Melone rappresenta un’assoluta novità, da riscoprire sono anche le altre splendide opere che costituiscono l’itinerario quaresimale tra arte e fede all’interno del Museo Diocesano: capolavori come la trecentesca Crocifissione su fondo oro di Anovelo da Imbonate, il leonardesco Cristo portacroce del Giampietrino, la borromaica Pietà di Procaccini, passando attraverso l’emozionante Orazione nell’orto degli ulivi di Simone Peterzano e quella di Fede Galizia – rispettivamente maestro e collega coetanea del Caravaggio – e il confronto tra due potenti Crocifissioni ottocentesche, quella di Francesco Hayez e quella di Mosè Bianchi.
Infine, a conclusione di questo intenso percorso fra arte e fede, il visitatore potrà incontrare le Pietà di Lucio Fontana, ovvero i due bozzetti in gesso che il maestro dello Spazialismo realizzò per il Duomo di Milano nel 1954 per la predella della Pala dell’Assunta. La prima versione, a lungo “dimenticata” presso il Cantiere marmisti della Veneranda Fabbrica, è stata esposta al pubblico per la prima volta in occasione della mostra dedicata a Lucio Fontana al Museo del Duomo, da poco conclusa. Ora quel modello viene finalmente messo a confronto diretto con la seconda versione della Deposizione di Cristo, quella presente appunto nella collezione permanente del Museo Diocesano (insieme al bozzetto al vero dell’Assunta stessa), così che se ne possono cogliere differenze e variazioni, attuate anche per venire incontro ai desideri della committenza. Ciò nonostante, come è noto, il progetto rimase incompiuto e il monumento per la cattedrale non venne mai tradotto in marmo di Candoglia (anche se nel 1972 venne realizzata una fusione postuma in bronzo, oggi temporaneamente collocata sull’altare di Sant’Agata). Un’occasione unica, insomma, per ammirare le tre opere dell’“artista dei tagli”, eccezionalmente riunite insieme, e per riflettere sul suo percorso creativo nell’ambito del sacro.
Oltre quattro secoli separano la tavola di Altobello e i gessi di Fontana. Ma il dolore della Vergine appare sempre il medesimo, così come la sua forza: quel suo desiderio di cullare fino all’ultimo quel suo figlio così ingiustamente ucciso, ma anche il suo affidarsi ancora una volta, nell’ora più dolorosa, alla volontà di Dio.