In Duomo, nel primo anniversario della morte del cardinale Dionigi Tettamanzi, l’Arcivescovo ha presieduto, presente tanta gente, la Celebrazione eucaristica sostando, a conclusione del Rito, in preghiera sulla tomba del predecessore
di Annamaria
Braccini
Fu un uomo e un Arcivescovo al quale «è stato facile volere bene» per la sua umanità, immediatamente evidente a tutti, per quella benevolenza capace di non essere scalfita dalla negatività e dalle critiche, ma soprattutto per una «coerenza che non ha cercato la popolarità più della fedeltà al Vangelo».
Dice così, del cardinale Dionigi Tettamanzi, l’Arcivescovo che presiede, in Duomo, la Celebrazione eucaristica nel primo anniversario della scomparsa del predecessore. Presenti il fratello, la sorella, nipoti e pronipoti, l’assistente Marina Oggioni, la Comunità con i sacerdoti di Renate (dove questo amato Pastore ambrosiano nacque il 14 marzo 1934), l’Eucaristia è concelebrata da molti presbiteri, tra cui i vescovi ausiliari, monsignor Luigi Stucchi e monsignor Giuseppe Merisi, i Canonici del Capitolo Metropolitano con l’Arciprete monsignor Gianantonio Borgonovo che porta il saluto di apertura, richiamando la lapide che la Veneranda Fabbrica del Duomo ha approntato sopra la sepoltura del cardinale Tettamanzi e che viene inaugurata ufficialmente al termine della Messa dall’Arcivescovo Delpini. La cui riflessione nell’omelia, annodata dalla Parola di Dio con la pagina del Discorso Missionario di Matteo al capitolo 10, è tutta un invito a essere discepoli – sull’esempio dei 12 – ricchi di entusiasmo, ma libri dall’esito, mettendo «nel conto anche il fallimento e persino la persecuzione».
«Si devono prevedere porte che non si aprono, anche se l’intenzione è quella di portare la pace. Si devono prevedere persone e Paesi, ideologie e sistemi di potere che reagiscono con indifferenza, come infastiditi da una parola di cui non sentono il bisogno. Si devono prevedere anche reazioni ostili, persecuzioni accanite per respingere una parola che mette in discussione abitudini consolidate, che denuncia le ingiustizie e le prevaricazioni: nessun prepotente è facilmente disponibile a riconoscere la sua prepotenza e ad accogliere con gratitudine l’annuncio del Regno che si presenta come via di mitezza e umiltà, come invito alla conversione e alla fraternità».
Ma è, appunto, in tali fallimenti e critiche che si riconosce – suggerisce Delpini – il discepolo autentico, quello che «deve evitare il risentimento» come pure «l’accondiscendenza al compromesso», anche se «nessuno trova gradevole abitare nell’impopolarità, attraversare il paese e sentirsi guardato con sospetto, con antipatia. Perciò è costante la tentazione di accondiscendere al compromesso: il messaggio evangelico si può diluire in una raccolta di buoni sentimenti che lo rendono innocuo, in una raccolta di parole di saggezza su cui tutti si possono trovare d’accordo. Meglio tacere le parole antipatiche, meglio la reticenza sulle parole dure di Gesù». Una tentazione, questa, che parla – o dovrebbe farlo – con molta chiarezza anche ai discepoli di oggi e che si supera unicamente con la convinzione radicata nel cuore (più che in facili slogan) «che il Regno è vicino e merita di essere annunciato».
Così come credette sempre il cardinale Dionigi. «Queste sono le indicazioni che si ricavano dal Vangelo: evitare il risentimento, il compromesso, continuare a sperare e ad annunciare il Regno di Dio. Ciò ci aiuta a ricordare con riconoscenza il cardinale Tettamanzi perché la sua testimonianza, il suo Ministero, il suo Magistero sono ben illuminati dalla Parola che abbiamo ascoltato. Infatti, nel suo Ministero episcopale ha incontrato tanta benevolenza, è stato vicino a tanta gente, ha avuto per molti una parola buona che ancora si ricorda. È stato facile volergli bene perché si capiva che ci voleva bene».
Anche quando in certi momenti del suo Episcopato, iniziato il 29 settembre 2002 e conclusosi il 28 giugno 2011 (nell’anniversario esatto dei suoi 54 anni di Ordinazione), egli fu oggetto di attacchi di fronte ai quali mantenne la serenità e la bontà che gli erano proprie, convinto della necessità di portare ovunque e a ciascuno l’annuncio della speranza che non delude.
«Non sono mancate neppure a lui, neppure a Milano esperienze di fallimento, di critica, di indifferenza. In questo contesto è stato testimone di una benevolenza che non è stata scalfita dalle reazioni negative, di una coerenza che non ha cercato la popolarità più della fedeltà, di una fedeltà al Vangelo che ha sostenuto il suo cammino in terra e l’ha introdotto nella festa di Dio. Siamo qui a celebrare con lui questa speranza e a chiedergli di pregare perché anche noi possiamo imparare la stessa coerenza».
Poi, la benedizione dell’Arcivescovo, circondato dai concelebranti e dai fedeli, presso la sepoltura dell’Arcivescovo all’Altare della “Virgo Potens” in Cattedrale, dove riposano anche il beato cardinale Schuster e i cardinali Tosi e Colombo.