Di antichissima fondazione, la chiesa della castellanza varesina accoglie da mille anni le spoglie del martire pellegrino, la cui memoria oggi si lega agli ulivi piantati come segno di pace, e il cui frutto sostiene iniziative solidali. Sabato 3 e domenica 4 febbraio la festa con celebrazioni, eventi, mostre.

di Luca FRIGERIO

L’olio di oliva fa bene, è risaputo. Ma l’olio di Varese fa addirittura del bene. Un nettare dorato che si lega alla memoria del martire Imerio e alla piccola, antica chiesa dove da quasi mille anni riposano le sue spoglie, nella castellanza di Bosto, oggi rione centrale della città prealpina.

Riprendendo una tradizione secolare, infatti, attorno alla prima domenica di febbraio la parrocchia varesina di San Michele Arcangelo promuove celebrazioni ed eventi per la “Festa di sant’Imerio”, tra fede e storia, dove anche la solidarietà ha una parte importante.

Imerio, secondo la leggenda tramandata, era un uomo d’arme che alla metà dell’XI secolo scese in Italia al seguito di un vescovo d’Oltralpe e di suo nipote, Gemolo, che si recavano in pellegrinaggio a Roma. Giunti nella valle di Marchirolo i viandanti furono assaliti e depredati da una banda di briganti che infestava la zona. Coraggiosamente i due cavalieri inseguirono i predoni per farsi ridare il maltolto, soprattutto i preziosi oggetti sacri destinati alle tombe degli apostoli. Ma nello scontro che ne seguì Gemolo fu colpito a morte, e sul luogo della sua uccisione sorse poi la bella badia di Ganna; mentre Imerio, gravemente ferito, morì alle porte di Varese e venne sepolto proprio nella chiesa di Bosto. Entrambi furono subito venerati come martiri, e il loro ricordo perpetrato nei secoli.

Anche il cardinal Schuster, appassionato com’era delle vicende storiche ambrosiane, fece condurre analisi scientifiche sulle presunte reliquie di sant’Imerio, rinvenute in un sarcofago di pietra già riemerso all’epoca di san Carlo e oggi posto come base della mensa d’altare nella chiesa di Bosto. Un edificio, questo, di vetusta fondazione, forse addirittura di epoca longobarda, come le indagini archeologiche hanno dimostrato e come testimonierebbe anche l’originaria dedicazione all’arcangelo Michele. Gli ultimi restauri, inoltre, hanno riportato alla luce nella zona absidale ampie porzioni di affreschi tardomedievali, con figure di santi e Dio Padre, che attualmente sono in fase di studio. Mentre il prezioso polittico rinascimentale realizzato da Francesco De’ Tatti, che reca l’effigie di Imerio stesso, dopo avventurose vicende è infine approdato nelle collezioni del Castello sforzesco a Milano: nella chiesa varesina è oggi collocata una riproduzione fotografica a grandezza naturale.

Una festa in onore di sant’Imerio, del resto, è attestata da secoli: ne parla ad esempio un documento notarile del 1417, che ricorda la processione che si snodava dalla basilica di San Vittore a Varese fino alla tomba del martire cavaliere a Bosto. Una tradizione che è stata appunto ripresa in questi ultimi anni e che vede la partecipazione, in particolar modo, delle associazioni locali, dei gruppi di volontariato e dei giovani varesini.

Già, ma l’olio? Quella dell’olio di sant’Imerio è una storia vecchia e nuova allo stesso tempo. “Nuova” perché è stata avviata da un gesto “profetico” dell’allora parroco don Pietro Giola, che nei giorni travagliati della guerra in Kosovo, nel 1999, come segno di pace e di concordia volle piantare un ulivo proprio davanti alla chiesetta di Bosto. E a quella prima piantumazione molte altre ne sono seguite, in suolo pubblico e privato, parrocchiale e demaniale, come a formare un sorprendente e inedito Getsemani, un “Parco degli ulivi” che oggi conta quasi millecinquecento piante.

Una storia “vecchia” perché in realtà, per quanto possa sembrare strano, già in epoca romana, e certamente nel Medioevo, questo territorio appare vocato alla produzione dell’olio: una pergamena anteriore all’anno Mille, ad esempio, certifica la presenza di un frantoio nella zona di Bosto.

Oggi la produzione è di circa sedici quintali di olive, da cui si ricavano quattrocento bottiglie di olio pregiato, dalle alte qualità organolettiche. Ma l’“Olio di lago di Sant’Imerio” non è solo buono, come si diceva, ma contribuisce anche a fare del bene: il ricavato della vendita delle bottiglie, arricchite da un’etichetta artistica che riprende un disegno dello stesso don Giola, viene infatti destinato a diversi progetti di solidarietà. In passato si è così contribuito ai restauri dell’antica chiesa di Bosto, ma anche allo scavo di pozzi in Africa o all’acquisto di reti per i pescatori indiani colpiti dallo tsunami: quest’anno i fondi raccolti saranno destinati ad assicurare duemila pasti per i bambini di una missione in Uganda. Un olio, insomma, davvero… “santo”!

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