Un ricordo degli anni milanesi del futuro priore di Barbiana. Si iscrisse all'Accademia di Brera, con sorpresa dei genitori. Ma maggiore fu lo sconcerto quando annunciò di voler entrare in Seminario...

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Lorenzo Milani a 18 anni, studente a Milano, e un suo autoritratto del 1941

di Luca Frigerio

Nel 1945 amici e famigliari erano ancora increduli della decisione di Lorenzo Milani di farsi prete. Ma quando un compagno di studi gli chiese la ragione di quella scelta, il seminarista rispose che aveva cominciato a pensarci sotto le volte del Duomo di Milano, un paio di anni prima, in piena guerra, quando vi si recava da pittore, per osservare i paramenti dei celebranti: «Pensai che se esistevano quei colori, doveva esserci una ragione. E la cercai», confidò il futuro priore di Barbiana.

Milano, il suo Duomo, la pittura: che c’entrano con don Lorenzo Milani? Sembrano labili tracce nel suo intenso percorso umano e religioso, e invece ne costituiscono presenze importanti, che riemergono a tratti, come un fiume carsico, fino ai suoi ultimi giorni, nei dialoghi con gli amici e nelle innumerevoli lettere. Tracce che può essere interessante ripercorrere proprio in questi giorni, nel centenario della nascita del priore di Barbiana.

Lorenzo Domenico Milani Comparetti, infatti, era nato il 27 maggio 1923 a Firenze. La sua era una famiglia ricca, che annoverava avi illustri in campo culturale: professori e accademici, linguisti e archeologi. Il papà, Albano, era laureato in chimica e coltivava interessi umanistici. La mamma, Alice Weiss, ebrea, era nativa di Trieste e proveniva da un ambiente dove Italo Svevo, Joyce e Freud erano di casa. In tema religioso, entrambi i genitori si dichiaravano agnostici: si erano sposati con il solo rito civile e non avevano fatto battezzare i figli (lo fecero poi nel 1933, davanti all’esplodere delle persecuzioni razziali).

La Grande depressione del 1929 colpì anche gli agiati Milani. Albano, allora, accettò un lavoro di direttore d’azienda a Milano, dove si trasferì con la famiglia, in una signorile dimora di via Conservatorio. Lorenzo frequentò le scuole elementari di via Spiga e poi venne iscritto alla prima ginnasio del Liceo Berchet, dove strinse amicizie che lo accompagnarono a lungo (come quella con Oreste Del Buono, noto scrittore e giornalista).

Forse perché fino ad allora aveva studiato in casa (tra precettori e parenti), sicuramente per il suo carattere inquieto e battagliero, il ragazzo non si trovò mai a suo agio nelle aule scolastiche, superando anni ed esami grazie alla sua acuta intelligenza, più che per costanza e diligenza.

Dopo la maturità Lorenzo annunciò che non si sarebbe iscritto a nessuna facoltà universitaria, volendo accedere invece all’Accademia di belle arti di Brera, per seguire quella che, in quel momento, sentiva come la sua vocazione: l’arte e la pittura. I genitori, pur essendo piuttosto permissivi in rapporto alla mentalità dell’epoca, non furono felici di questa decisione, ma finirono con l’assecondare il desiderio del figlio, aiutandolo anche ad aprire uno studio in piazza Fiume (l’attuale piazza della Repubblica).

Era il 1941. A Brera, in verità, le cose non andarono meglio che al Berchet. Milani, infatti, frequentava con passione alcuni corsi (come quello di disegno anatomico), disertandone altri. Sempre più insofferente della retorica fascista, che forzatamente impregnava anche le lezioni accademiche (soprattutto ora che l’Italia era entrata in guerra a fianco di Hitler), Lorenzo preferiva l’esercizio dal vivo, per strada o nel suo studio, secondo anche un certo spirito bohémien e anticonformista che gli era congeniale.

Una delle sue modelle di quei mesi era una certa Tiziana, una compagna di studi della quale Lorenzo si era invaghito di un amore platonico, come ricordavano gli amici più stretti. Il giovane Milani, del resto, aveva un certo successo tra le coetanee: era piacente, ma soprattutto attraeva con il suo entusiasmo e con la sua brillante personalità.

Con un’altra amica, Carla Sborgi, aveva redatto un testo su liturgia e arte. Temi che in quel momento erano evidentemente al centro dell’attenzione del nostro. Che divorava i libri di Paul Claudel e seguiva il dibattito dell’architettura ecclesiastica, tra Le Corbusier e Giovanni Michelucci. Mentre a Firenze cominciò a frequentare l’atelier del pittore tedesco Hans Joachim Staude, che tuttavia capì benissimo che quel giovanotto non avrebbe fatto il pittore, ma cercava “altro”. Quei “colori”, quei “rapporti” fra le figure, quel senso di “unità”, che aveva cercato anche sotto le volte della Cattedrale di Milano, «ho voluto cercarli tra la mia vita e le persone del mondo: e ho preso un’altra strada», come ricordò lo stesso Lorenzo. Con la decisione di farsi prete e di dedicare la sua vita a Cristo e ai fratelli.

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