All'ombra delle antiche torri medievali, piccole e grandi, snelle o massicce, in un percorso che si snoda da Lasnigo a Rezzago, fino a Barni e Caslino d'Erba, alla scoperta di chiese e santuari.
di Luca
FRIGERIO
Amano la solitudine, i campanili della Vallassina. Di pietra son fatti. Di dura, grigia, semplice pietra. Un masso sull’altro, senza incertezze, su fino al cielo. E sembrano esistere da sempre, nati assieme alle montagne attorno, lambiti dal Lambro al suo principio. Schivi e taciturni, come gli uomini e le donne di questa valle breve e isolata che s’addentra nel triangolo lariano. Attenti e fieri, la croce al culmine piantata, sono da secoli richiamo di fede, rassicuranti sentinelle devote.
In verità sono tutti parenti, i campanili della Vallassina. Diversi per personalità, certamente. Per portamento, perfino: chi più alto e slanciato, chi più massiccio e severo. Ma la stirpe è la stessa, medesimo il linguaggio, schietto e preciso. Basta una rapida occhiata per rendersene conto. Basta sfiorarne le ruvide pietre per averne la certezza. Le mani dei Maestri comacini diedero loro vita, poco dopo il Mille, per generazioni e generazioni: mani sapienti, mani che nella semplicità diedero forma alla bellezza.
Le case degli uomini, le botteghe, le stalle o i fienili non stanno loro attorno. Ma non è per diffidenza, né per timore. È che i campanili della Vallassina, da sempre, han voluto così. Lontano dai clamori, lontano dalle faccende quotidiane, lontano dal vociare del giorno. Han bisogno di quiete per invitare al silenzio, vogliono pace per guidare alla meditazione. E chi si avvicina a loro alla domenica, oggi come ieri, indossa il vestito della festa, le scarpe magari un po’ impolverate, ma fa niente: va bene così.
Il campanile della chiesa di Sant’Alessandro a Lasnigo svetta come su un podio, là dove il fiume s’affonda tra le due coste del Monte Oriolo, verdi di boschi e di prati. Bello di una rude bellezza, forte di una forza antica. Impossibile evitarlo, imperdonabile non badargli. Di decori ha preteso lo stretto indispensabile: giusto gli immancabili archetti di gusto romanico, o i tipici dentelli a sottolineare i piani diversi. E poi le aperture, che ingrandendosi man mano verso l’alto ne accentuano lo slancio senza nulla togliere alla solidità dell’insieme.
Tutto scruta, il campanile di Lasnigo, mentre con piglio militare sembra vegliare sulla valle. Fedele come lo fu il soldato Alessandro, che con il martirio testimoniò la verità che aveva incontrato. Tutto scruta, e tuttavia con un vago accenno di malinconia per il suo borgo perduto, per quelle case d’Orsenigo che piogge torrenziali e frane spazzarono via sull’altro versante del monte otto secoli fa. Impotente assistette allora alla tragedia la torre, mentre le sue campane suonavano disperate a raccolta, chiamavano aiuto, urlavano di fuggire, scappare, mettersi in salvo… E ancora oggi, assicura qualcuno, s’ode nei giorni di tempesta l’eco lontano di quei tristi rintocchi.
Quasi a cercare sicurezza e sostegno, al campanile s’appoggia la chiesa al patrono bergamasco dedicata. È chiesa piccola, ma non troppo in verità: unica la navata, ma decorosamente spaziosa, con archi ogivali a sostegno della copertura a vista e un pavimento con irregolari piastrelle su cui è piacevole camminare, scoprendovi i segni del tempo.
Nude sono le pareti dell’aula, ma non l’area verso l’altare a cui si volge lo sguardo dei fedeli, con affreschi che ripropongono schemi e soggetti iconografici diffusi in tutto il Lario. Ecco allora, con gusto popolano, quasi naïf, un bonario sant’Antonio Abate, e il martire Alessandro, nella sua armatura scintillante… E nel presbiterio altri dipinti, tra i quali spicca una Crocifissione, questa di mano più raffinata, datata e firmata dal lombardo Giovanni Andrea De Passeri, 1513.
Il quale De Passeri, evidentemente, dovette godere di buona fama da queste parti, se è vero che il suo tratto e il suo nome si ritrovano all’ombra di un altro bel campanile di Vallassina, quello della chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Rezzago. Rispetto a Lasnigo, in verità, il pittore lombardo fu qui chiamato a una fatica ben maggiore, affollando il Calvario di volti e personaggi, ponendo un’attenzione quasi miniaturistica nella cura dei dettagli. Ed è accogliente l’interno di sasso, spoglio ed essenziale, illuminato a tratti da lame di luce.
Appena più snello, il campanile romanico di Rezzago mostra rispetto al suo illustre vicino linee più morbide e, nell’insieme, una struttura ancora più armoniosa. Non sorge su un’altura, ne ha scelto per sé una posizione prominente, ma con maggior modestia s’è adagiato in un comodo avvallamento, godendosi il fresco degli alberi, il profumo dell’erba tagliata. Così, se la torre di Lasnigo viene incontro al viandante senza che possa essere evitata, quella di Rezzago va invece cercata, appartata e un po’ schiva com’è. Ed è dolce fatica, gradita sorpresa.
Un alito di vento sfiora le timide colonnine della torre, e pare un sussurro, un richiamo a cui rispondono lontano altre voci, altri campanili. Come quello di Barni, della secolare chiesa dei Santi Pietro e Paolo, minuto e delizioso, divertito a vedersi intorno, ancor oggi a volte, le placide mandrie al pascolo. O come quello di Loppia, slanciato ed elegante, abbracciato dai cipressi, unico superstite, insieme alla cappella mariana, di un antico monastero benedettino.
E di cose ne ha da dire anche il campaniletto cigliato di San Calocero, a Caslino, sopra Erba. Racconta di una fede profonda, di una devozione mariana radicata e sentita. Narra di apparizioni generose della Madre celeste in aiuto dei figli di quaggiù, di miracoli e prodigi che la pietà popolare ha serbato e tramandato. E grida di rabbia, per il sacrilego furto di quella bella immagine a cui per secoli furono rivolte parole di ringraziamento e di speranza. Sparì diversi anni or sono, e stessa sorte toccò più di recente – miserabile impudenza – alla nuova icona. Ma il turbamento dura un attimo soltanto. Subito torna la quiete dei campi, la serenità di cieli infinitamente azzurri, striati di nubi. Presto sarà sera, e l’agile campanile di San Calocero, a chi lo vorrà, offrirà la sua amicizia e la sua protezione. Come ogni suo fratello in terra di Vallassina.