Nei pressi di Tiberiade, con una cerimonia alla presenza di rappresentanti della Diocesi. «La sua memoria faccia crescere ulteriormente l’amicizia tra ebrei e cristiani», ha scritto in un messaggio il cardinale Scola
di Annamaria BRACCINI
«Guarderebbe gli alberi, farebbe un grande respiro, e direbbe: non dobbiamo avere paura, perché la foresta diventerà grande con il tempo, la pazienza e la calma». Forse avrà fatto così il cardinale Carlo Maria Martini – ne è certa la sorella Maris -, abbassando lo sguardo verso Giv’at Avni, sopra Tiberiade, dove cristiani e ebrei lo hanno ricordato piantando piccoli alberi che, com’è nella tradizione delle due fedi, diventeranno oasi di accoglienza e di serenità. E, naturalmente, «emblemi capaci di portare frutti, segni di pace, luoghi in cui coltivare il dialogo», secondo quello che è stato il prezioso insegnamento del cardinale Martini e che rappresenta oggi il suo lascito di uomo «innamorato di Dio e della Parola». Un’eredità che si fa auspicio nel messaggio inviato da Papa Francesco per l’occasione: «Il ricordo dell’illustre Arcivescovo di Milano – scrive infatti il Santo Padre – contribuisca ad accrescere ulteriormente un’amicizia solidamente fondata nella frequentazione delle Scritture e nel dialogo profondo con Dio e tra gli uomini».
Allora ben si comprende quanto il gesto di creare quella che diventerà una foresta nel cuore di Israele – ma sarebbe meglio dire l’intero viaggio compiuto nel nome del cardinale Martini – rivesta un significato storico. Per i simboli – è la prima volta che un simile riconoscimento viene attribuito a un Cardinale, dopo le foreste intitolate a Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI -, ma soprattutto per lo spirito autenticamente religioso che ha animato l’iniziativa voluta dalla Comunità ebraica di Milano sulla base di un’idea di rav Giuseppe Laras, presidente onorario dell’Assemblea rabbinica italiana, subito sostenuta dal cardinale Angelo Scola.
Che, pur nell’impossibilità di essere tra i pellegrini, non ha voluto mancare idealmente a questo «giorno davvero di festa – per usare le parole del suo indirizzo di saluto -. Voi state realizzando l’idea di Rav Giuseppe Laras, già rabbino capo di Milano e ora Presidente emerito e onorario dell’Assemblea Rabbinica Italiana. Con la mediazione del Fondo Nazionale Ebraico (K.K.L.), nei pressi della città di Tiberiade, state inaugurando una foresta in memoria di un cardinale della Chiesa cattolica. State compiendo questo gesto in Galilea, vicino al lago di Genezaret, ricco di memorie evangeliche e punto di partenza della comunità cristiana che da qui si è aperta al campo di Dio che è il mondo (cfr Mt 13,38)». «Vi giunga la mia personale preghiera – ha scritto ancora l’Arcivescovo – perché ebrei e cristiani, musulmani e ricercatori del vero e unico Dio possano edificare un mondo di pace e di giustizia, in cui il riconoscimento dell’altro sia condiviso come un bene per tutti e la sua speranza possa diventare la speranza di tutti. La memoria del cardinale Carlo Maria Martini faccia crescere ulteriormente l’amicizia tra ebrei e cristiani».
Il cardinale Scola ha inoltre scritto una lettera a Rav Israel Meir Lau, rabbino capo di Tel Aviv. «Caro e stimato Rav Lau, il nostro dialogo, fatto di reciproca conoscenza, narrazione e grande amicizia, non vuole fermarsi alle apparenze, ma desidera essere un vero cammino di “conversione” (tešuvà): allontanamento dal nostro peccato e venerazione dell’unico Dio vivo e vero. Solo così arriveremo a capire veramente “quanto sia bello e gioioso che i fratelli stiano insieme” (Sal 133,1). È questa la mia preghiera per tutti noi».
«L’amore e la predilezione di padre Martini per questa terra così particolare e unica aveva l’eco di questa cura, del senso di responsabilità che si riassumeva nella passione per Gerusalemme, luogo che raccoglieva in sintesi, nella sua sensibilità, tutte le domande più profonde degli uomini e delle donne di ogni tempo», ha scritto invece il preposito generale dei Gesuiti, padre Adolfo Nicolas.
Una gioia, nella riflessione, sottolineata anche dal cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e vescovo ausiliare di Martini a Milano dal 1993 al 2002, che ha accompagnato il pellegrinaggio con il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, rav Elia Richetti: «È un onore e una grande gioia essere qui. Il cardinale Martini ci ha insegnato ad amare il popolo di Israele. Il dialogo con quella che lui chiamava la “radice santa” non è questione solo di confronto tra le fedi alla ricerca di un giusto e necessario processo di pace e riconciliazione, ma è essenzialmente una necessità teologica».
Un cammino di condivisione che rav Richetti, anche a nome del rabbino Laras (non presente per gravi motivi di salute), evidenzia con espressioni della tradizione più antica del Primo Testamento. «Nel Talmud l’albero spesso rappresenta il passaggio da una generazione all’altra. Non è dunque un’esagerazione definire il Cardinale un “pio tra le generazioni”, oltre che “giusto tra le Nazioni”». E anche, aggiunge l’ambasciatore d’Italia in Israele Francesco Maria Talò, un «onore» per Milano e una «bandiera» per il Paese, mentre il vento fa sventolare le bandiere vere dietro gli alberi, rendendo ancora più bello questo angolo della bassa Galilea. Una vallata che diventerà ancora più verde grazie alla foresta “martiniana”, fatta in maggioranza di carrubi: gli alberi sempreverdi cari alla Bibbia, che danno frutto solo dopo tempo, dalle “fondamenta” forti come le radici ebraico-cristiane.
Alberi che cresceranno anche nel numero – lo annuncia monsignor Gianantonio Borgonovo, arciprete della Cattedrale -, perché la Veneranda Fabbrica del Duomo ha deciso di stanziare 17 mila euro che, con i 33 mila già raccolti, permetteranno di piantare cinquemila alberi, per un totale di diecimila collocati su una superficie raddoppiata in ampiezza e quantità per un dono del Fondo nazionale ebraico, altro promotore dell’iniziativa. Così, alla fine, il ricordo umanissimo della sorella del Cardinale e del nipote Giovanni Facchini Martini, il gesto ufficiale di piantare fisicamente alcuni alberi, di scoprire la targa, di pregare insieme in tante lingue diverse (cui si aggiungono un inatteso e suggestivo canto del Kaddish e la recita del Padre Nostro), si fanno monito e responsabilità per il futuro. Perché, come dicono le parole del profeta Zaccaria incise nella pietra della piccola stele: “Molti popoli e nazioni potenti verranno a ricercare il Signore delle schiere celesti a Gerusalemme, invocando la sua presenza”.
Quella Gerusalemme tanto amata, dove il cardinale Martini credeva – lo racconta ancora la sorella – e sperava di poter finire i suoi giorni.