Per il neo-Cardinale una nuova pagina da scrivere: «La mia nomina significativa? Lascio la domanda aperta a me stesso e cercherò di rispondere in maniera onesta e generosa»

di Alberto BAVIERA

Renato Corti

Tra i quattro vescovi e sacerdoti ultraottantenni nominati ieri cardinali da Papa Francesco, l’unico italiano è monsignor Renato Corti. Originario di Galbiate (Lecco), ora vive a Rho, nel collegio dei Padri Oblati Missionari, dopo essere stato per 15 anni vescovo di Novara. Per oltre un decennio stretto collaboratore del cardinale Carlo Maria Martini, come vicario generale e vescovo ausiliare di Milano, Corti è stato anche vicepresidente della Conferenza episcopale italiana dal 2005 al 2015. Stimato predicatore, ha guidato nel 2005 gli esercizi spirituali alla Curia vaticana, gli ultimi con papa Giovanni Paolo II, e su invito di papa Francesco ha scritto le meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo del 2015 al Colosseo. Ecco le sue considerazioni dopo la nomina.

Come ha saputo della nomina?
Ieri ero fuori casa, in parrocchia. Me l’hanno comunicato gli amici della comunità che mi ospita: avevano appreso della notizia dal telegiornale. Io, direttamente, non ho ricevuto nessuna comunicazione, né a voce, né per iscritto. Ma questa mattina mi hanno detto che nei prossimi giorni arriverà un testo scritto.

Come ha reagito a una notizia così particolare?
Devo dire che si tratta di una cosa inattesa. E ancora a 24 ore di distanza non si avverte a sufficienza il senso. Ci vorrà ancora qualche giorno.

Qualche riflessione, però, l’avrà fatta…
Stamattina, pregando, consideravo qualche aspetto che mi sembra significativo per quanto riguarda diventare Cardinale. Una prima cosa rilevante è il colore rosso che rimanda al sangue, ai martiri. Conosco una preghiera molto bella di Rosmini, una preghiera che ho sempre in evidenza e che lui chiedeva venisse recitata tutti i giorni da chi entrava nella Congregazione che aveva fondato: è una preghiera forte che dice proprio il coraggio della fede che viene chiesto nella vita, cosa che è particolarmente rilevante oggi.

Con lei riceveranno la porpora alcuni grandi testimoni della fede…
Sempre stamattina, nel pregare, mi sono soffermato su alcune persone che sono state nominate Cardinali: per esempio il prete albanese che ha fatto ventotto anni di carcere sotto il regime di Hoxha, in Albania. Mi sembra molto significativo, così come mi sembra molto bello che siano stati nominati il Nunzio apostolico in Siria e l’Arcivescovo di Bangui. Naturalmente queste figure molto significative mi conducono a dire: sì, ma tu sei significativo di che cosa? Lascio la domanda aperta a me stesso e cercherò di rispondere in maniera onesta e generosa.

Lei è stato per 11 anni stretto collaboratore del cardinale Carlo Maria Martini a Milano. Quale ricordo le può essere utile per questa nuova responsabilità?
Martini, da Vescovo, mi diceva come membro del Collegio episcopale che c’è una responsabilità nei confronti della diocesi, ma c’è una responsabilità anche nei confronti di tutta la Chiesa. Diventato Cardinale, nel febbraio 1983, sosteneva che questo titolo lo stimolava a sentire una responsabilità in particolare proprio nei confronti del cammino della Chiesa universale. Questo è un punto su cui dovrò meditare. In concreto potrebbe voler dire che su certe cose si scrive al Papa. È un modo per essergli vicino e per dedicarsi al cammino della Chiesa universale. Questo raccolgo da Martini. Ma lui era il cardinale Martini, io non sono nessuno.

Nelle meditazioni che lei ha scritto per la Via Crucis del Venerdì Santo del 2015 al Colosseo ha citato il cardinale Martini, quando ricordava che «siamo chiamati a essere la Chiesa della misericordia» e che «la Chiesa è chiamata a essere povera e amica dei poveri». Parole pronunciate nel 1995 e spesso ripetute da papa Francesco…
Quelle parole le estraggo dalla Lettera di presentazione del 47° Sinodo della diocesi di Milano, nella quale ci sono pagine forti. Quel testo è uno dei più importanti, tra i più ignoti del cardinale Martini. Non li ho sentiti citare forse da nessuno. Io li ho commentati in un corso di esercizi ai preti di Mantova, perché erano impegnati con il Sinodo e allora mi sono richiamato a questa Lettera di Martini. Parole molto forti, che credo valga la pena ripetere anche oggi, perché sono veramente un ritorno allo spirito iniziale del cristianesimo.

Comunicando la vostra nomina, nell’Anno santo, Papa Francesco ha parlato di annunciatori «dell’amore misericordioso di Dio»…
In questo momento sto preparandomi a un incontro che devo fare a Milano proprio sulla conclusione di questo Anno. Parlerò di come il cardinale Martini era una figura guidata da questo pensiero profondo della misericordia. L’incontro ha un titolo un po’ poetico: la misericordia è un’essenza che colma di profumi le nostre case, le nostre comunità. Sono le opere di misericordia spirituali e corporali. In quell’occasione citerò qualche riga del cardinale Martini che trovo nelle sue lettere e parlerò del suo stile. Un vescovo che ha iniziato i suoi anni a Milano facendo come prima uscita quella che l’ha condotto nel carcere di san Vittore. Per quanto mi riguarda, essere annunciatore dell’amore misericordioso di Dio richiama a una concretezza quotidiana: per me è nell’attenzione in particolare ai poveri che mi vengono incontro anche qui, nella comunità che mi ospita.

 

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