Redazione

Ci sono uomini ai quali
la sfortuna cambia
il corso della vita, eroi
immortali che scendono
all’inferno e vi restano
a lungo, ma un giorno
del mese di maggio
si riscoprono valorosi
guerrieri e ritornano
in gioco. Dietro il pianto
seguito alla vittoria
di Cagliari c’è tutta
la sofferenza e la gioia
del ciclismo: le stesse
emozioni che, più
di mezzo secolo fa,
destò Gastone Nencini,
ricordato dal Giro al Mugello

di Roberto Checchi

Trecento metri, mancano trecento metri al traguardo, le ruote sballottano e oscillano, si piegano. Sul lastricato di Cagliari il gruppo è compatto: i treni dei velocisti hanno esaurito la loro corsa: adesso è una lotta di singoli uomini, uno contro l’altro. Duecento metri, cento, cinquanta, arrivo, vittoria!

Alessandro scoppia in un pianto dirotto, ed è bellissimo vederlo piangere. Gli antichi fantasmi se ne sono improvvisamente andati, trascinati nel flusso delle ruote delle biciclette che si lanciano sul viale d’arrivo. Alessandro si riscopre corridore vero, puledro di razza.

Il ciclismo è soprattutto questo: fatica, sofferenza e gioia. Ventesimo successo nella corsa rosa, fortemente cercato, magistralmente ottenuto. Ci sono uomini ai quali la sfortuna cambia il corso della vita, eroi immortali che scendono all’inferno e vi restano a lungo, ma un giorno del mese di maggio si riscoprono valorosi guerrieri e ritornano in gioco.

Alessandro piange, non dice una parola e anche il cronista capisce l’intensità di quel momento e lo lascia solo. Il ciclismo è senz’altro lo sport che più di ogni altro sa regalare storie esaltanti e avvincenti, che con semplicità raccontano, tra tanti aspetti, quello più bello: l’uomo.

Anna Maria Ortese, prima donna al seguito della carovana rosa, compagna di viaggio di Vasco Pratolini, sulla macchina camuffata da maschiaccio con un cappellino sulla testa e senza un filo di trucco (perché nell’immediato dopoguerra il Giro d’Italia era vietato alle signore), raccontò il secondo posto e le lacrime di Gastone Nencini al Giro del 1955 dopo la sconfitta subìta ad opera di Fiorenzo Magni.

Suo è forse il più bel ritratto mai scritto, per raccontare chi è il corridore: «Se il torero fa fuori un toro si può parlare di corrida, ma se al posto di un toro c’è un puledro, la cosa è diversa». A distanza di molti anni le lacrime di Gastone sono le stesse di Alessandro. Sconfitta e vittoria, le sole vie di fuga nel ciclismo.

In questi giorni il Giro d’Italia arriva in Mugello con la frazione più lunga per onorare il grande Gastone Nencini, cinquant’anni dopo il suo trionfo nella corsa rosa.
Una terra povera allora, oggi in forte ricrescita, popolata di gente semplice, ma genuina: i mugellani, facce bruciate dal lavoro nei campi, luminose come la luce riflessa delle acque del Lago di Bilancino baciate dai raggi del sole, gente festante che ama incitare i ciclisti, perché tanti ne ha forgiati e regalati allo sport italiano, Gastone su tutti.

La stessa gente che allora si emozionò per i successi di Nencini, oggi si esalta e piange di gioia per il trionfo di Petacchi.

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