Re al "Bernabeu", il capitano bianconero indiscusso protagonista nella Juventus, ma pallida comparsa in maglia azzurra
Redazione
07/11/2008
di Mauro COLOMBO
Anche il “Santiago Bernabeu” si è inchinato alla straordinaria maturità di Alessandro Del Piero. A 34 anni – età alla quale molti suoi colleghi già pensano al patentino da allenatore o a una scrivania da dirigente – il capitano bianconero si toglie lo sfizio di strappare applausi a un pubblico di raffinati intenditori come quello madrileno, con una doppietta che sbanca il “tempio” del Real e proietta la sua Juventus verso gli sviluppi primaverili della Champions League.
Quella di mercoledì sera è senza dubbio una delle pagine più belle della “seconda vita” di Del Piero calciatore. La prima – contrassegnata dal soprannome di “Pinturicchio” inventato per lui da Gianni Agnelli – si era conclusa esattamente dieci anni fa, l’8 novembre 1998 a Udine, a causa di un gravissimo infortunio che fece temere per la sua carriera e impose una ripresa faticosa, lenta, quasi interminabile. Al punto che il “Pinturicchio” dell’Avvocato lasciò spazio a “Godot”, come il personaggio teatrale che si fa attendere invano.
Recuperata l’efficienza fisica, Del Piero ha poi dovuto fare i conti con le perplessità e i dubbi degli allenatori avvicendatisi sulla panchina bianconera: Lippi (talvolta), Ancelotti (più spesso), Capello (soprattutto) e infine Ranieri. Più di qualche panchina, innumerevoli sostituzioni e il sospetto che l’esigenza di turn-over, nel suo caso, fosse diventato il pretesto per attentare a un monumento intoccabile, ma anche ingombrante. Che comunque ha sempre goduto del favore e del sostegno dei compagni e della tifoseria.
Ha resistito anche a Calciopoli, Del Piero. Ha guidato la Juventus nell’anno di purgatorio in serie B, laureandosi capocannoniere tra i cadetti. Poi, sempre più uomo-simbolo, si è clamorosamente ripetuto una volta tornato nell’élite del calcio. E ora sono gli altri – Amauri e Iaquinta, in attesa di Trezeguet infortunato – ad alternarsi al suo fianco in attacco.
Rimane un neo, che nel caso di Del Piero sfiora il paradosso: la Nazionale. Tanti giocatori, di indubbio valore sul piano interno, hanno rivelato limiti di classe e personalità quando dovevano esibirsi sui palcoscenici internazionali. Non è certo il caso del Del Piero juventino, e la serata di Madrid ne è solo l’ultima conferma. Ma il Del Piero azzurro è stato più spesso una timida controfigura che non un indiscusso primattore.
Dal dualismo con Baggio ai Mondiali del 1998 agli errori decisivi contro la Francia nella finale degli Europei del 2000, fino all’anonima comparsata all’ultima rassegna continentale. Unica eccezione, i Mondiali del 2006, con il gol alla Germania e il rigore ai transalpini. Forse in Nazionale Alex non ha mai avvertito fiducia assoluta intorno a sé, forse non è stato utilizzato secondo le sue reali attitudini. Sta di fatto che quello di Del Piero è stato quasi sempre un azzurro pallido.