Redazione

La confessione di Ivan Basso – che non sarà al via della corsa
per il tentato doping scoperto nell’ambito dell’inchiesta sulla
Operacion Puerto – divide gli appassionati e sollecita l’intero
ambiente a “ribellarsi”, perché il fatto agonistico non venga
travolto da una serie infinita di indagini giudiziarie. I corridori
devono garantire la genuinità del loro sforzo, i dirigenti
e gli organizzatori devono tornare a uno sport a misura d’uomo

di Mauro Colombo

Dalla squalifica di Eddy Merckx a Savona nel 1969 allo stop a Marco Pantani a Madonna di Campiglio nel 1999, fino al blitz dei Nas a Sanremo nel 2001, la storia passata e recente del Giro d’Italia ha attraversato diverse “bufere” legate al doping. Ma proprio nell’anno in cui la corsa celebra la sua 90a edizione, l’assenza al via della maglia rosa uscente – non dipendente da infortuni, scadimenti di forma o libera scelta – e’ un fatto in qualche modo inedito.

Sabato 12 maggio Ivan Basso, vincitore del Giro 2006, non partirà da Caprera. La riapertura dell’istruttoria sulla Operacion Puerto e sulle sue “relazioni pericolose” con il dottor Fuentes ha prodotto a suo carico indizi tali da determinare prima la sospensione cautelare dall’attività, poi la risoluzione del contratto con la Discovery Channel e infine l’ammissione di tentato doping davanti alla Procura del Coni. Dopo il deferimento, la disponibilità a collaborare con gli inquirenti potrebbe ridurre la prevista squalifica di due anni (ma l’Uci non ammette sconti). Da valutare poi i risvolti penali: in Italia il doping è reato e su Basso indagano tre Procure.

La sospensione avrebbe comunque escluso dalla corsa il varesino, ma l’avrebbe reso un “convitato di pietra”: con la sua “confessione” (a cui ha fatto seguito quella del collega Scarponi) la situazione è più chiara. Analoga chiarezza si dovrebbe ottenere sull’intera Operacion Puerto, a proposito dei corridori “clienti” di Fuentes non ancora individuati (di chi sono, per esempio, le sacche di sangue contrassegnate con la sigla “Valv”?) e anche degli atleti di altre discipline che il medico di Madrid ha rivelato di avere “assistito”.

Gli appassionati di ciclismo, naturalmente, sono divisi. C’è chi si chiede per quale motivo un atleta naturalmente dotato abbia progettato di truccare il suo “motore” a dispetto delle regole e perché una persona intelligente – quale Basso indubbiamente è – non abbia pensato ai rischi che poteva correre la sua salute con “pratiche” di questo tipo.

E poi c’è chi, schierato a difesa di Ivan, ha già sentenziato che il Giro senza di lui non avrà alcuna importanza. Ma la comprensibile solidarietà nei confronti di Basso non può trasformarsi nella scarsa considerazione per il valore e le capacità dei vari Cunego, Simoni, Savoldelli, Di Luca, ecc. E siamo certi che il Giro non attraverserà la penisola nel silenzio e nell’indifferenza. Perché quella che apparentemente è la debolezza del ciclismo – sport che si offre gratuitamente al pubblico – in realtà è la sua forza: sulla strada la bicicletta non è mai sola.

«Vèn giô Peppin, ch’in chi anca anmò»: così, all’epoca dell’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale, i vecchi milanesi si rivolgevano alla statua di Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei due Mondi che il Giro ricorderà più volte lungo il suo tragitto, a 200 anni dalla nascita. Ecco, forse il ciclismo dovrebbe trarre ispirazione dalla figura del rivoluzionario per antonomasia, e in un moto d’orgoglio ribellarsi a un trend che rischia di ridurre il fatto agonistico – quello più bello – a mera parentesi in una serie infinita di inchieste, audizioni, testimonianze, verbali…

A ribellarsi per primi, ovviamente, devono essere i corridori, chiamati a garantire la genuinità del loro sforzo. Ma con loro si devono schierare anche i dirigenti che stilano i calendari e gli organizzatori che disegnano le corse, per tornare a uno sport a misura d’uomo e non di extraterrestre (il tracciato del Giro 2007 va appunto in questa direzione). Con queste premesse i vari “codici etici” cesseranno di apparire sentenze anticipate (perché “fermano” corridori prima ancora che la loro colpevolezza sia accertata) e potranno diventare efficaci strumenti di salvaguardia dei veri valori del ciclismo.

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